Cucchi, carabiniere ammette il pestaggio e accusa due colleghi

Venerdì 12 Ottobre 2018 di Valentina Errante
Cucchi, carabiniere ammette il pestaggio e accusa due colleghi

Il coup de théâtre al processo per la morte di Stefano Cucchi arriva in udienza con un ordinario deposito di atti del pm Giovanni Musarò. Verbali inattesi, perché nessuno sapeva che a giugno il carabiniere Francesco Tedesco, uno dei militari imputati per l'omicidio preterintenzionale del giovane romano morto nel 2009, aveva deciso di presentare una denuncia per le annotazioni di servizio compilate sul pestaggio di Stefano e svanite nel nulla. E poi di raccontare nel dettaglio come Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro avrebbero picchiato il detenuto Cucchi. Quello che era accaduto la notte del 16 ottobre 2009, alla Compagnia Casilina dei carabinieri, Tedesco lo aveva immediatamente riferito al telefono al suo superiore Roberto Mandolini, invano. Poi, dopo la morte del giovane geometra romano, il militare lo aveva scritto, nero su bianco, in quelle annotazioni di servizio, ma si sentiva isolato: «Gli devi dire che stava bene», gli suggeriva Mandolini prima dell'interrogatorio in procura. «Fatti i c..tuoi», un altro collega. Per paura di essere licenziato Tedesco ha obbedito e sono trascorsi nove anni. «Temevo ritorsioni e sono rimasto zitto per anni, però successivamente sono stato sospeso e mi sono reso conto che il muro si sta sgretolando e diversi colleghi hanno iniziato a dire la verità». I verbali sono stati depositati ieri dal pm Giovanni Musarò, nel processo bis per la morte di Stefano. Non c'è solo l'omicidio preterintenzionale, ma anche il depistaggio delle indagini che avevano portato a processo gli agenti della penitenziaria, poi assolti. Con Di Bernardo, D'Alessandro, Mandolini e Vincenzo Nicolardi (questi ultimi accusati di falso e di calunnia) gli altri imputati del processo, è sospeso dall'Arma, ma Tedesco, da luglio, è l'unico sottoposto a un procedimento di Stato, molto di più di un'azione disciplinare. E ha chiesto, senza successo, che, in attesa della fine del processo, l'azione venisse sospesa.
 



I VERBALI
Una denuncia e tre verbali con cui, tra giugno e ottobre, Tedesco imprime la svolta al processo bis per la morte del giovane Cucchi. Era il momento del fotosegnalamento, racconta al pm, per questo dalla stazione Appia Stefano era stato portato alla Compagnia Casilina. Ma il geometra, fermato per spaccio si rifiutava di sporcarsi le dita per lasciare le sue impronte: «Non voglio». «Lo devi fare». Così - secondo il verbale di Tedesco - sarebbe nato il battibecco tra Cucchi e Di Bernardo e a quel punto il detenuto avrebbe tentato di dare uno schiaffo al carabiniere. Ma il pestaggio sarebbe avvenuto quando il giovane geometra stava per ritornare in caserma: «Di Bernardo era un po' avanti - racconta Tedesco - Cucchi subito dietro e alle spalle di Cucchi c'era D'Alessandro. A questo punto Cucchi e D'Alessandro ricominciarono a discutere e a insultarsi. Di Bernardo si voltò e colpì Cucchi con uno schiaffo violento in pieno volto. Allora D'Alessandro diede un forte calcio a Cucchi con la punta del piede, all'altezza dell'ano. Nel frattempo io mi ero alzato che avevo detto Basta finitela! Che c..fate? ma D'Alessandro proseguì nell'azione spingendo con violenza Cucchi e provocandone una caduta in terra sul bacino. Anche la successiva botta alla testa fu violenta, ricordo di avere sentito il rumore. Nel frattempo mi alzai e spinsi Di Bernardo, ma prima che potessi intervenire D'Alessandro colpì con un calcio in faccia (o in testa) Cucchi, mentre questi era sdraiato in terra». Quando Tedesco si avvicina al detenuto, Cucchi gli dice: «Sto bene, sono un pugile». Tedesco capisce che non può stare zitto, chiama il comandante della stazione Appia, Mandolini, gli racconta tutto: «Quando tornammo Di Bernardo e D'Alessandro furono convocati da Mandolini, io rimasi con Cucchi nella sala d'attesa».

Tedesco racconta anche le fasi successive: «Quando dovevo essere sentito dal pm, il maresciallo Mandolini non mi minacciò esplicitamente, ma aveva un modo di fare che non mi faceva stare sereno. Mentre ci recavamo a piazzale Clodio, io avevo capito che non potevo dire la verità e gli chiesi cosa avrei dovuto dire al pm, anche perché era la prima volta che venivo sentito personalmente da un pm e lui rispose: Tu gli devi dire che stava bene, quello che è successo, che stava bene, che non è successo niente....capisci a me, poi ci penso io, non ti preoccupare».

 

Ultimo aggiornamento: 14:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA