La tragedia di Borgo Quinzio: quattro anni dopo parla Benedetta, la figlia del vigile del fuoco Stefano Colasanti morto nell'esplosione della cisterna

Domenica 4 Dicembre 2022 di Sabrina Vecchi
La tragedia di Borgo Quinzio: quattro anni dopo parla Benedetta, la figlia del vigile del fuoco Stefano Colasanti morto nell'esplosione della cisterna

RIETI - «Glielo chiesi io di cantare mentre portavano a spalla la bara di mio padre. E loro lo fecero». I vigili del fuoco lo fecero, perché avrebbero fatto di tutto per la figlia di un collega morto tra le fiamme. E la mattina del funerale di Stefano Colasanti, nella caserma di Rieti, tra mille lacrime e mille cose da fare, si stampò anche l’inno dei pompieri, per ripassarlo meglio e trovare la forza di cantarlo a squarciagola, con il feretro di Stefano sulle spalle.

Per Benedetta. ”Salviam la vita agli altri il resto conta poco...abbiamo santa Barbara in fondo al nostro cuore”. 

L'abbraccio dei pompieri. I pompieri di Rieti l’avevano appena festeggiata la loro patrona, con la messa in caserma, le dimostrazioni, il pranzo tutti insieme. «Papà non ne perdeva uno di 4 dicembre, così come anche io, fin da piccola, come fanno tutti i figli dei vigili del fuoco. Da bambini iniziavano giorni prima a prepararci, ci facevano le divise su misura, partecipavamo alle iniziative». Benedetta ci fa un po’ a pugni, negli anni dell’infanzia, con il mestiere di suo padre. «A volte nelle emergenze non tornava per settimane, il suo lavoro lo portava via da me, ci soffrivo. Quando ci fu il terremoto dell’Aquila faceva la notte, partì subito, stette fuori per molto. Io avevo 8 anni, non accesi la televisione per venti giorni, neppure per vedere i cartoni animati: avevo troppa paura». Quanta tristezza, a volte rabbia, verso quella divisa con le strisce gialle che era la causa della lontananza di una bambina dal suo papà. Ma quanto orgoglio, quando a scuola si facevano i disegni e Benedetta prendeva il rosso per colorare l’autopompa, e poteva scriverlo nei temi, che era la figlia di un pompiere. 
«Era bello dirlo ai compagni, mi guardavano con ammirazione e io ero contenta perché sapevo che per lavoro papà aiutava gli altri».

La tragedia. Aiutò anche quel 5 dicembre 2018 Stefano, passando sulla Salaria vicino a un distributore di benzina in fiamme, e fermandosi per mettere in sicurezza le auto, per bagnare l’asfalto mentre arrivavano i rinforzi. Benedetta quel giorno segnava in calendario il mese esatto che sarebbe trascorso prima di compiere 18 anni, pensava al regalo che avrebbe chiesto a suo papà, «che era un tipo pratico, mi avrebbe chiesto cosa volessi». Il ritorno da scuola, un passaggio su internet, la sensazione fortissima che quei primi accenni di notizie la riguardassero da vicino. «Mi prese un’ansia immotivata, non sapevo dove fosse mio padre e non avevo letto ancora nulla di preciso. Solo dopo si scoprì che era un vigile del fuoco».

A quel messaggio su whatsapp inviato alle 16.24 solo con la parola “Papi”, Stefano non rispose mai. «Lanciai uno strillo, versai quattro lacrime, poi mi sedetti sulle scale. Venne un sacco di gente, tra i primi il comandante Mauro Caciolai che non finirò mai di ringraziare. Mi guardava e non riusciva a parlare, non sembrava neanche lui». 
Benedetta dimostra una forza inaudita, pensa che non può permettersi di abbattersi, per mamma, per zio Claudio e per nonna Finalba che sopravvive alla morte di un figlio e «pensavo non potesse reggere». E per tutti quei colleghi di papà arrivati a casa, «con gli occhi sbarrati, incollati alle sedie senza andarsene più». L’immagine di quegli uomini sprezzanti del pericolo che piangono tutte le loro lacrime spezza il cuore a Benedetta, tanto che è lei, diciassettenne che ha appena perso il padre, a sentire il dovere di farsi forza: «Non so cosa mi prese, non riuscivo nemmeno a guardarli in faccia. Vedevo il dolore che provavano per la mia famiglia ma pensavo anche che si immedesimavano, che avrebbero potuto esserci loro al posto di papà. La mia testa mi ha suggerito di reggere anche per loro, e così ho fatto». 

Sostegno continuo e concreto. Da allora, i vigili del fuoco non l’hanno mai fatta sentire sola. C’erano alla camera ardente per proteggerla dalla folla, c’erano all’uscita di scuola, c’erano per il sostegno agli studi e per il Natale che sarebbe arrivato di lì a poco. E c’erano anche un mese esatto dopo, quando lei diventava maggiorenne, e loro le regalano i fiori e una bella collana. Quella che forse le avrebbe fatto scegliere papà. «Subito dopo l’incidente, quando vedevo passare i vigili del fuoco ripensavo al funerale, alle sirene che accompagnarono il feretro. Adesso li seguo con gli occhi, cerco di capire se dentro i mezzi c’è qualcuno che conosco».

L'armadietto. Solo una cosa, Benedetta non è riuscita ad affrontarla subito: quell’armadietto con la targhetta “Stefano Colasanti”, rimasto intonso nel comando di via Sacchetti Sassetti, l’ha aperto solo lo scorso settembre, insieme a due colleghi di papà. 
Dentro c’era il piumino di quella mattina, i moschettoni, le borracce, la cintura, la divisa e gli scarponi. Ma insieme agli attrezzi del mestiere c’erano anche i disegni che lei aveva fatto alla scuola materna: quelli con papà vigile del fuoco che stava fuori per mesi, ma sempre con il pensiero di quell’unica figlia che il giorno del suo funerale avrebbe chiesto di cantare.

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