Commerciante truffato con assegno fotocopiato e poi beffato in tribunale

Domenica 4 Luglio 2021 di Massimo Cavoli
Commerciante truffato con assegno fotocopiato e poi beffato in tribunale

RIETI - Alla fine è stata la vittima, oltre a subire il danno, a risultare beffata, a dispetto del fatto di essere stata pagata con un assegno circolare, falsificato in modo grossolano su un foglio formato A 4 (quelli utilizzati per le fotocopie), dopo aver venduto un elettrodomestico da cucina a un acquirente contattato su un portale di vendite on line.

La trattativa, e quindi l’incontro per chiudere l’affare, erano stati rapidi, come altrettanto velocemente il compratore si era allontanato con la merce.

Un processo dove la truffa contestata al cliente, rinviato a giudizio dopo la querela presentata dal presunto truffato, ma assolto dal tribunale «perché il fatto non sussiste» (seppur con il comma sostitutivo della vecchia formula dubitativa), non è emersa nella sua pienezza, tanto da far orientare la lancetta dell’accusa nei confronti dello stesso venditore, considerato “responsabile” perché, proprio in quanto commerciante e avvezzo quindi a compiere operazioni di questo genere, non si era accorto del fatto che veniva pagato con la fotocopia di un assegno. 

Ed è stata questa la tesi sostenuta dall’avvocato Luigi Gianfelice, difensore di S.C., 38 anni, di Palestrina - accolta dal giudice Loredana Giannitti - secondo il quale il suo cliente non aveva ideato una truffa, ma messo in atto un falso grossolano «perché non si è mai visto in commercio un assegno della grandezza di un foglio A 4». 
Il “mea culpa” reso in aula dall’ingenuo venditore («Era semplicemente un foglio dove non c’era pretagliatura, mi vergogno, era solo uno stampato»), accortosi subito, ma non in tempo per bloccare l’operazione riuscendo solo a fotografare la targa dell’auto del cliente, di non aver ricevuto a saldo un normale titolo bancario circolare, ma solo una fotocopia ingrandita, ha contribuito a rafforzare nel giudice onorario la convinzione, oltre che basata su questioni di diritto, che il commerciante non era stato indotto in errore o abilmente raggirato, bensì era rimasto vittima della propria ingenuità nell’accettare quella singolare modalità di pagamento dell’apparecchiatura, un robot da cucina, al prezzo concordato di 750 euro. 

Semmai, ha rilevato la dottoressa Giannitti, la vicenda presenta tutte le caratteristiche di un’inadempienza contrattuale di carattere civilistico, senza alcuna rilevanza penale, ma appare difficile per il commerciante riuscire a recuperare dopo anni i soldi dell’elettrodomestico, forse, chissà, ancora in funzione nella cucina del furbo cliente. 

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