Luigi Berlinguer indica Papa Bergoglio come «punto di riferimento» politico per la sinistra

Giovedì 19 Ottobre 2017 di Franca Giansoldati
Luigi Berlinguer indica Papa Bergoglio come «punto di riferimento» politico per la sinistra
Città del Vaticano - Luigi Berlinguer - tra i protagonisti della storia della sinistra italiana, dirigente nazionale del PCI, PDS e DS, parlamentare  a più riprese dal 1963 al 2002 - considera Papa Francesco una bandiera per tutto il popolo riformista. «In questo momento di crisi profonda della sinistra – perché non si procede abbastanza nell’adeguamento delle dottrine, con il conseguente insuccesso dei partiti socialisti in tutte le elezioni –, in questo momento di crisi delle forze progressiste perché non hanno saputo rinnovare il loro armamentario teorico, culturale e ideale, Francesco è un boato, un punto di riferimento dal quale non possiamo prescindere». A gennaio scorso l’ex ministro della Pubblica Istruzione nei governi D’Alema e Prodi ha incontrato in Vaticano il pontefice. L’occasione è stata la consegna di un libro sull’educazione. A distanza di qualche mese Berlinguer ha voluto affidare le sue impressioni sul Papa argentino (che la Bbc, tempo fa, aveva bollato come un Papa comunista) a due giornaliste, Alessandra Buzzetti e Cristiana Caricato, autrici di un libro intitolato: «Ho incontrato Francesco», edizioni Paoline, in cui sono stati raccolti interessanti contributi di uomini di Stato, intellettuali, ambasciatori, scrittori. Il ritratto papale fatto da Berlinguer offre inevitabili spunti politici.

«Senza voler entrare nel merito del compito e della  persona, considero Francesco un uomo che interpreta al meglio le esigenze di un comportamento progressista verso la società. È chiaro che non è un’etichetta che gli si può appiccicare sopra, perché il Papa è il Papa e basta» spiega l’ex ministro che dimostra di apprezzare molto l’equidistanza di Bergoglio dai politici italiani. «La  sua distanza dalla politica italiana è un elemento di rara intelligenza, perché nel nostro passato c’è stato un eccesso di rapporti. Negli anni Sessanta, quando facevo le mie battaglie politiche in Sardegna, il capo della Dc era un prete. Un mio caro compagno ha avuto un figlio e ha chiesto al parroco che io fossi il padrino, ma il parroco glielo ha impedito. Guai ad aprire! Era un altro mondo e, se tu come Chiesa ti leghi a un partito, è la fine. Certo la Dc ha avuto, però, il grande merito di tenere unita l’Italia all’Europa...» Che i politici italiani abbiano da imparare dal Papa argentino, a suo parere, è fuori discussione. «Egli è un maestro, un educatore. Ci sta insegnando moltissimo. La sua figura conta, perché lui è profondamente laico, essendo profondamente religioso. Ha una fede enorme,  lo si vede quando prega, ma affronta i temi con grande  laicità, che è la negazione della bigotteria. Non è irretito negli schemi precostituiti; di ogni cosa tira fuori un  aspetto nuovo, fino al terreno più delicato, che è quello dei diritti».

Anzi, di più. «È un grandissimo politico, ma non un politicante che va in giro a cercare voti. L’abilità politica consiste innanzitutto nel comunicare con la sua lingua, comprensibile a tutti, nel sapere bene dove vuole arrivare e  nell’avere obiettivi di innovazione, là dove è necessario (…) La sua abilità sta nella capacità di mediazione, che  non significa compromesso. La morale rigorista condanna la mediazione come compromesso. È sbagliato, perché le due cose non coincidono. Non c’è nulla di vero. E' un manuale vivente di come deve essere un politico».
 
 
Ultimo aggiornamento: 20 Ottobre, 14:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA