Guerra in Armenia, il Papa anticipa la visita a giugno

Martedì 5 Aprile 2016 di Franca Giansoldati
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CITTÀ DEL VATICANO - Papa Bergoglio ha deciso di anticipare di qualche mese il viaggio in Armenia. Invece che a settembre, come inizialmente aveva ipotizzato, andrà dal 24 al 26 giugno. Si tratta di una visita che si presenta piuttosto complicata, attesa e temuta allo stesso tempo. Se fosse dipeso da lui probabilmente l'avrebbe portata a compimento già l'anno scorso, in occasione del centenario del genocidio armeno. Invece, per via delle forti ostilità turche, e dei bastoni tra le ruote che sono puntualmente arrivati da Ankara, il progetto è slittato a tempi migliori, fino ad oggi. «Sul tavo\lo c'è una promessa fatta ai patriarchi armeni». Così, a giugno, per tre giorni, Papa Francesco andrà a rendere omaggio alla prima nazione al mondo che storicamente adottò il cristianesimo come religione di Stato, più di 1700 anni fa. Prima tappa sarà a Ierevan, la capitale, dove da lì si trasferirà al memoriale del genocidio armeno, la Collina delle Rondini, il luogo che ricorda un milione e mezzo di vittime provocate dal piano sistematico, studiato a tavolino, e realizzato tra il 1915 e il 1920 dal governo turco per incamerare le ricchezze della minoranza cristiana, allora assai influente e ricchissima.

DETTAGLI
La visita in programma è alle battute finali e verrà annunciata a breve. Tra qualche giorno partiranno gli organizzatori vaticani per mettere a punto ogni dettaglio, concordare gli eventi liturgici, pianificare il sistema della sicurezza che si avvarrà della collaborazione dei servizi segreti russi. La visita, una delle più simboliche in cui al centro vi sarà il concetto «dell'ecumenismo del sangue dei martiri», arriva a compimento dopo un lungo braccio di ferro dietro le quinte da parte della Turchia, che ha minato in ogni modo il progetto, cercando di disincentivarlo. Mesi e mesi di sofferte e tribolate trattative sotterranee da parte della diplomazia pontificia per preparare il terreno. L'anno scorso il governo di Ankara è arrivato a ritirare il suo ambasciatore dal Vaticano, aprendo una crisi senza precedenti, durata quasi un anno, solo perché Papa Francesco aveva osato pronunciare la parola «genocidio» durante la messa commemorativa a San Pietro, in occasione del centenario dei massacri del 1915.

IL NAGORNO KARABAKH
I venti di guerra tra l'Armenia e l'Azerbaigian non hanno minimamente modificato il progetto papale. Due giorni fa il governo azero ha annunciato la sospensione unilaterale delle azioni militari nella regione contesa del Nagorno Karabakh. Il presidente Putin, mediatore chiave, nei giorni scorsi, per evitare l'espandersi di un altro focolaio di guerra, aveva lanciato un appello. Gli scontri avevano fatto temere un allargamento del conflitto in un'area strategica, attraversata da oleodotti e gasdotti. Inizialmente la diplomazia vaticana nel tentativo di non urtare la sensibilità del governo turco e di quello azero (generoso finanziatore di un costoso progetto per il recupero dei catacombe), aveva elaborato un progetto di viaggio che si basava sul principio della par condicio. L'idea era di accorpare Azerbaigian e Armenia. Poi la correzione. I patriarchi armeni hanno apprezzato il coraggio e la libertà con la quale il Papa si è espresso, smarcandosi dalla timidezza della diplomazia vaticana che, ancora oggi, preferisce pubblicamente non parlare di genocidio, ma solo di generici massacri.

Qualche settimana fa, il segretario della Cei, Galantino, ha criticato il negazionismo. «Gli armeni fanno ancora fatica a veder riconosciuto il loro Olocausto» aggiungendo che persino «il governo italiano ha ritenuto di non prendere una posizione ufficiale, affermando che i genocidi sono affari degli storici». Uno dei grandi sogni di Papa Bergoglio è di riuscire a pacificare turchi e armeni. «Una cosa che mi sta molto a cuore è la frontiera turco-armena: se si potesse aprire sarebbe una cosa bella». Chissà se riuscirà a fare questo miracolo.