M5S, l'apertura sulle alleanze: «Nessun tabù»

Lunedì 5 Marzo 2018 di Stefania Piras
M5S, l'apertura sulle alleanze: «Nessun tabù»
È la vetta più alta mai raggiunta dal Movimento 5 stelle. Cinque anni fa dal nulla entrarono in Parlamento con il 25%. Ieri, secondo le prime proiezioni, hanno raggiunto, senza coalizzarsi, il 32,5% al Senato. Dato che alla Camera potrebbe ulteriormente salire. «È un trionfo», dicono euforici al quartier generale all'hotel Parco dei Principi dove il candidato premier Luigi Di Maio è stato accolto tra i festeggiamenti. Ora gli scenari che si aprono sono importanti. Sommando i voti del M5S e quelli della Lega si arriva a una potenziale maggioranza del 49%. Al Senato che rappresenta da sempre la camera più ballerina per i governi il M5S ha toccato quota 32,5%. 

La linea governista di Di Maio ha vinto e ora, lui capo politico e candidato premier del M5S, può dire «hic manebimus optime». Vuol dire che punta alla premiership e che si metterà comodo ad aspettare le telefonate dei leader degli altri partiti per convergere sui governo di programma, quindi su precisi punti, di cui aveva parlato in campagna elettorale. Di Maio rimane con i suoi davanti allo schermo che manda le proiezioni. Non si concede ai media.

Appare solo in un video che viene diffuso in rete al momento della seconda proiezione al Senato. E si vede un'esultanza da stadio. Tra i più euforici ci sono proprio Di Maio che fa il segno della vittoria e poi abbraccia Alfonso Bonafede, Gianluca Paragone e il notaio del Movimento, ValerioTacchini. 

E la cosa curiosa è l'evaporazione di Beppe Grillo, il garante del M5S. Fino a poche ore fa aveva scritto sul suo blog che il M5S doveva diventare biodegradabile, com'era nato poteva scomparire e tornare da dove era germogliato. Ma la verità è che all'hotel Parco dei principi Davide Casaleggio e tutto il direttivo dell'associazione Rousseau al completo c'è, mentre Beppe Grillo no. E nessuno chiede più se ci siano state telefonate, dritte, consigli, auguri. Per lui ora l'unica cosa importante è «impedire che si facciano caz...», come ha detto dal palco di piazza del Popolo. E una delle stupidaggini da non commettere è scegliere bene con chi apparentarsi ora.Anche questo è il merito della scalata di Luigi Di Maio con cui dovranno fare i conti i suoi colleghi e Beppe Grillo stesso il cui potere di scomunica da oggi si ridimensiona. 

LE REAZIONI
Non a caso appena escono gli exit poll Di Maio manda avanti il suo fedelissimo Alfonso Bonafede a dire: «Possiamo già dire che se saranno confermati questi dati siamo di fronte a un dato storico. C'è un elemento certo che emerge: il M5S sarà il pilastro della prossima legislatura. 

È il risultato di tutti questi anni di lavoro». Il pilastro presuppone altri elementi architettonici minori che fanno appunto dire a Bonafede che le cariatidi che sorreggeranno quel pilastro saranno gli altri. «Ottimo risultato. Nessuno potrà governare senza il M5S. Parleremo di contenuti e sarebbe bello farlo con tutte le forze politiche. Noi siamo pronti», dice il pacatissimo Riccardo Fraccaro che Di Maio ha immaginato come suo possibile ministro dei rapporti con il Parlamento. Ma gli altri chi sono, chi saranno? «Appena Renzi si dimetterà- sussurrano i Cinquestelle - per noi si apriranno praterie». Dunque gli ammiccamenti sono confermati a sinistra. E dunque, il M5S spera in un Pd presto derenzizzato. 

Se non fosse così, potrebbero riattivarsi i canali con la Lega. Il M5S sente di avere in mano la bacchetta del direttore d'orchestra e c'è attesa nel capire che musica si suonerà a sinistra. Luigi Di Maio ha voluto nella sua squadra di ipotetici ministri tre keynesiani doc che vogliono politiche espansive «whatever it takes», a qualunque costo. Tra questi c'è Pasquale Tridico, scelto per il dicastero del Lavoro che ha pubblicamente dichiarato che il suo cuore è a sinistra. E poi non sono sfuggiti i rapporti tra Lorenzo Fioramonti, il professore di Pretoria, candidato all'uninominale di Roma e designato per lo Sviluppo Economico, ed Enrico Giovannini, già ministro del governo Letta e numero uno dell'Istat. Giovannini nel 2013 parlò dell'importanza del sostegno al reddito e fu considerata un'apertura clamorosa al reddito di cittadinanza che poi il governo uscente ha introdotto con la formula del reddito di inclusione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA