La provocazione/ Un annuncio a orologeria tutto politico

Lunedì 29 Febbraio 2016 di Mario Ajello
La scelta dei tempi non è stata un po’ troppo ben calcolata, troppo puntuale, da parte di Vendola e il suo compagno per annunciare la loro paternità con fiocco arcobaleno? Proprio mentre il tema delle unioni civili, della regolamentazione per le coppie gay, della stepchild adoption e dell’utero in affitto è al centro delle attenzioni, Nichi annuncia al mondo la lieta novella di essere diventato papà, sia lui sia il suo compagno italo-canadese Eddy. Il quale ha dato il suo seme a una donna americana, ed è nato Antonio Tobia. Magari si sarebbe potuto aspettare un po’, prima di rendere pubblico l’evento. O forse avrebbe fatto ugualmente notizia in qualsiasi momento questa nascita. Di fatto, Vendola ha sempre detto: «Uso provocatoriamente questo mio sogno, di avere un bambino, contro la pigrizia della politica sul tema delle unioni civili».

E la provocazione, si sa, per essere più forte ha bisogno di tempismo e del massimo della pubblicità. Due fattori che Nichi e Eddy, in questa occasione, hanno saputo maneggiare. Il primo risultato è che, come era ovvio che fosse, si è subito dimostrato che lo stralcio della stepchild adoption non impedisce affatto l’utero in affitto. È una cosa bellissima la nascita di Antonio Tobia, ma vuole contenere messaggi politici come lo è anche questo: all’estero, si possono avere diritti che in Italia continuano ad essere tabù. Si può avere un figlio pure se la coppia è composta da due papà. La modernità è nel mondo, e il medioevo è qui da noi nella solita Italietta moralista e cattolica, “ipocrita e arretrata” come la definiscono Nichi e Eddy. «Il personale è politico», si diceva qualche decennio fa, e nel caso della paternità di Vendola i due ingredienti hanno finito per coincidere in maniera clamorosa, con il rischio che il “politico” finisse per sovrastare il “personale” o almeno per catalizzare tutte le attenzioni. E a fare le spese di questo, della prevalenza del Nichi leader sul Nichi padre e dello show legato a questa nascita, a pagarne le conseguenze è il piccolo Antonio Tobia. Un genitore come primo obiettivo dovrebbe avere la protezione del proprio figlio, mentre fare di questo neonato una bandiera non è a tutela del bambino ma degli ingressi politici del padre.

 

La strumentalizzazione della vicenda che si fa da destra, subito insorta contro «i due ricchi di sinistra che si comprano un bambino», risulta offensiva e pessima.
Ma fare il tifo per Antonio Tobia come vessillo della lotta anti-oscurantista, e come testimonial di ciò che si sarebbe potuto avere con una legge Cirinnà più vigorosa e non arrendevole quale sarebbe quella appena approvata, appare come minimo poco rispettoso nei confronti della creatura e della gioia, che dovrebbe essere più “personale” che “politica”, che stanno provando i genitori. Maneggiare con così poca delicatezza, da tutte le parti, argomenti di questa portata è una forma di provincialismo di cui non si sentiva il bisogno. E che sta scatenando, dentro e fuori dai social network, le opposte curve. Chi è con Nichi e Eddy, chi è contro, chi spara battutacce, chi scherza, chi dice come Salvini «disgustoso egoismo», chi grida «10, 100, 1000 Antonio Tobia», chi parla di «turpitudine» e chi di «beatitudine», chi (e forse sono i più) sfoggia la classica omofobia e chi non accetta che si possano avere delle riserve culturali sull’utero in affitto senza essere baciapile. Rispetto a questo spettacolo ideologico tra moralismo e propaganda, a cui anche il genitore prende parte invece di garantire la non esposizione pubblica del neonato, Antonio Tobia avrebbe meritato molto di più. 
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