Pd, Renzi tenta il blitz. Partito e Quirinale frenano

Lunedì 13 Febbraio 2017 di Marco Conti
Pd, Renzi tenta il blitz. Partito e Quirinale frenano
«Matteo è come un giunco. Al referendum ha preso una botta e si è piegato, ma ora è pronto a scaricare di nuovo tutta la sua forza». La definizione dell'ex democristiano - non annoverabile tra coloro che si spellano le mani per l'ex sindaco di Firenze - rende ancora più forte l'attesa per ciò che oggi il segretario del Pd dirà alla direzione del suo partito. Si prevede un'analisi a trecentosessanta gradi sulla situazione del partito e sul momento politico nella quale il segretario non risparmierà bordate ai suoi oppositori che a suo dire, dopo la sconfitta del referendum, hanno cercato ora il voto anticipato, ora il congresso, ora una proposta opposta a quella praticabile di legge elettorale, solo per indebolirlo. L'analisi di Renzi partirà dalle riforme fatte nei tre anni di governo sino ad arrivare a quella più importante e che più volte ha definito come «la ragione» che ha impedito alla legislatura nata nel 2013 di non interrompersi prima di nascere: la riforma costituzionale. Mancato il bersaglio Renzi, pur riconoscendo le sue responsabilità, confermerà che l'unico obiettivo restante dell'attuale legislatura è metter mano alla legge elettorale. Per farne una nuova di zecca o, come traguardo minimo, per aggiustare e rendere «omogenee» i due sistemi affinché «non ostacolino» (come ha detto la Consulta nella sua ultima versione delle motivazioni) la formazione di una maggioranza parlamentare.

FRONTE
L'obiettivo per Renzi resta valido e da perseguire al più presto anche perché è caduto anche l'ultimo alibi, ovvero l'attesa delle motivazioni della Corte. La direzione del Pd, allargata ai parlamentari e ai segretari regionali e provinciali, verrà quindi posta di fronte ad un bivio: prendere atto che l'accordo sulla legge elettorale è di fatto difficile da raggiungere e quindi prepararsi per il voto a breve. Oppure lasciare che i gruppi parlamentari tentino nuove mediazioni e nel frattempo sbrigare subito la pratica del congresso in modo da essere pronti a qualunque evenienza. Ed è su questo punto che sono destinate ad alzarsi le barricate interne. La sinistra del Pd si è avvantaggiata e da ieri chiede un congresso «lungo». Il timore è che Renzi voglia chiudere la fase congressuale tra fine aprile ed inizio di maggio in modo da non precludersi il voto anticipato a fine giugno. Elezioni che potrebbero tenersi il 25 giugno insieme al primo turno delle amministrative. L'area che fa riferimento a Bersani e Speranza minaccia la scissione qualora il segretario decidesse di accelerare convocando in settimana l'assemblea del partito nella quale ufficializzare le dimissioni e varare la commissione che dovrà licenziare le regole del congresso. Ieri il presidente del partito Matteo Orfini, al quale potrebbe essere affidato il Pd in caso di dimissioni di Renzi, ha provato a rassicurare la sinistra sostenendo che il congresso di farà «con le regole dello statuto». Ciò non basta per la sinistra e i due sfidanti Michele Emiliano e Enrico Rossi che vorrebbero celebrare il congresso alla sua scadenza naturale.
L'avvio della fase congressuale stempera l'eventualità del voto anticipato, ma per allontanare del tutto la possibilità di un voto a giugno c'è chi nel Pd è pronto a giocare sui tempi concessi dalla statuto in modo da rendere praticamente impossibile il voto a giugno, anche se per i renziani «c'è sempre la possibilità di votare a settembre o ottobre insieme alla Germania». Un'eventualità, quella del voto in autunno che non piace ai centristi di maggioranza. Al punto che c'è nel Pd chi sostiene che a fine aprile potrebbero essere proprio loro a chiedere a Renzi di andare al voto a giugno.

REGOLE
A resistere all'accelerazione del segretario del Pd non è però solo la sinistra, ma più sottotraccia anche l'areadem di Dario Franceschini e i turchi di Andrea Orlando. Il primo è pronto a ricordare a Renzi l'impegno preso con Sergio Mattarella di modificare la legge elettorale. Non solo, il ministro della Cultura, sta facendo di tutto per tenere dentro la sinistra bersaniana che minaccia di fare le valigie o di dare battaglia a suon di carte bollate. Uno scenario di guerra interna che, secondo Franceschini, non giova al Pd ma nemmeno a Renzi. Il segretario - raccontano i suoi - non ha però più voglia di mediare. Intende attenersi alle regole del partito ed è per questo che ieri ha preso carta e penna scrivendo agli iscritti del Pd. Difficile dire ora come e quando il segretario del Pd possa, magari anche dopo il congresso, ritenere chiusa la trattativa sulla legge elettorale e quindi finita l'esperienza del governo Gentiloni senza irritare il Quirinale, che ha più volte ricordato la necessità di armonizzare i sistemi di voto di Camera e Senato. L'eventualità di uno strappo l'ex premier l'ha però messa in conto e ritiene interesse prioritario del Pd evitare che si ripeta l'esperienza del 2011 quando al partito a guida Bersani venne chiesto - dal predecessore di Mattarella - di rinunciare alle urne per dar vita ad un governo, quello di Mario Monti, che poi impedì la vittoria del Pd alle elezioni del 2013.

Il vento che spira da Bruxelles non promette nulla di buono sul fronte dei conti pubblici. Renzi, grazie alla lettera di una quarantina di parlamentari, è riuscito a bloccare l'aumento delle tasse sulla benzina, ma è convinto che per reggere la manovra di bilancio di fine anno, e trattarla con l'Europa, occorra un governo che abbia una prospettiva di durata molto più lunga dell'attuale esecutivo.