Pd, ora il ribaltone arriva in Parlamento: Renzi perde la maggioranza nei gruppi

Mercoledì 14 Marzo 2018 di Nino Bertoloni Meli
Pd, ora il ribaltone arriva in Parlamento: Renzi perde la maggioranza nei gruppi
Sulle orme dell'abate Martino, Matteo Renzi sembra destinato a finire come il celebre motto per un punto Martin perse la cappa. Sì, perché mentre l'ex leader è concentrato a infilare le dita negli occhi a uno, a pestare i piedi a quell'altro, a ripudiare quell'altro ancora, tutti esponenti della sua ex maggioranza, il risultato è che nei gruppi parlamentari Renzi e renziani rischiano di non avere più la maggioranza. Per qualcuno, anzi, quest'ultima non c'è proprio più, dileguata, saltata, svanita. Puf. La qual cosa complica assai la corsa per il prossimo capogruppo alla Camera e al Senato, nonché la corsa parallela per il prossimo segretario che dovrà essere eletto dall'assemblea di metà aprile (sempre che non slitti per cause legate alla formazione del governo, consultazioni e corollari).

I CONTI
A palazzo Madama i conti sono stati già fatti, e il risultato non è proprio un trionfo per Renzi, che fra l'altro mette piede da parlamentare per la prima volta proprio al Senato. E dunque: su 55 senatori del gruppo, compresi Bonino, Casini e Nencini che però ancora non si sa se ne faranno parte, i renziani doc, duri e puri, vengono annoverati tra i 20 e i 23 (tra questi, oltre a Renzi: Marcucci, Parrini, Magorno, Malpezzi, Nannicini, Pittella, Bellanova); c'è poi, di nuova formazione, un sottogruppo di delriisti che annovera Richetti e Iori; nel gruppo renziano si possono ascrivere tranquillamente anche i 3 orfiniani Verducci, Valente e D'Arienzo, ma qui finiscono le note positive e cominciano le dolenti. A seguito di polemiche, malintesi e vere o quasi vere rotture, non sono più da sommare nel gruppo renziano i senatori che fanno riferimento al capogruppo uscente Zanda e a Gentiloni, una ventina in tutto, tra i quali Astorre, Fedeli, Cucca, Mirabelli, Parente, Pinotti, Vattuone. Poi ci sono i tre che fanno riferimento a Orlando (Cirinnà, Misiani, Rossomando), e uno che fa capo al reggente Martina.

Alla Camera la situazione è ancora più complicata. Il gruppone renziano, raccontano gli stessi, non si è ancora riunito né per fare il punto né per contarsi, ma si registrano defezioni, ripensamenti, dubbi, insomma, la collocazione di alcuni (tanti?) è ballerina. I renziani si autoaggiudicano «oltre il 50 per cento del gruppo», ma da altre parti non la pensano affatto così. L'altra sera c'è stata una prima riunione tra seguaci dell'ex leader e lottiani nel senso di seguaci di Luca Lotti, e già questo è sintomatico di come un gruppo una volta granitico si vada a sua volta frastagliando, così come è una novità un Giacomelli che dichiara per prendere le distanze da Rosato. E dunque: su 112 eletti, i renziani doc vengono contati fra i 33 e i 35 (quindi lontani dalla maggioranza), ma secondo altri il numero arriverebbe a quota 56. Una decina sono i deputati di fede orlandiana, altrettanti quelli che seguono Franceschini, ormai distaccatisi dalle sorti del leader dimissionario, così come i gentiloniani e la pattuglia dei ministri eletti (Minniti e il premier in carica tra questi). «Altro che ago della bilancia, Renzi non ha più una maggioranza nei gruppi su cui contare», la sintesi di alcuni deputati ex renziani.

LE COMPLICAZIONI
Tutto questo complica, e di parecchio, la scelta dei capigruppo. La parola d'ordine adesso è collegialità, sulla scia della reggenza di Martina. Tradotto: l'accoppiata, che è cominciata a circolare, di un Marcucci capogruppo al Senato e di Rosato riconfermato alla Camera sembra già stoppata sul nascere. C'è l'altolà di Orlando: se si procede così, ha fatto sapere in serata, «il mandato di Martina può già considerarsi fallito», cioè non è questa la collegialità auspicata. Né migliore favore sembra incontrare l'accoppiata Marcucci-Guerini, «non sarebbe la discontinuità auspicata, all'opposto sarebbe troppo fiancheggiatrice di Renzi», fanno sapere dalla ex maggioranza. Al punto che si parla di Guerini come possibile candidato alla segreteria, da proporre all'assemblea di aprile (o quando sarà), visto che Graziano Delrio, che era e probabilmente rimane la prima opzione dell'ex leader, non vuole scendere in campo. Rimane l'ipotesi del congelamento degli attuali capigruppo Rosato-Zanda, ma è vista come l'estrema ratio di una impossibilità a trovare una qualche intesa.

LA COMPETIZIONE
Ci si è messa pure la competizione interna corporis tra Maria Elena Boschi, che spinge per Rosato, e Lotti che punta invece su Guerini, a complicare la faccenda. Al senato girano pure i nomi di Richetti, Parrini e Bellanova, ma gli ultimi due sono considerati troppo pasdaran renziani e quindi quotazioni in calo. Complicazione nella complicazione, tutto questo si proietta sulle presidenze delle Camere e sul governo. Dalla direzione dem è arrivata l'apertura a trattare per un governo di scopo, con tutti dentro, ma al Nazareno avvertono che questa ipotesi non è osteggiata da Renzi, tutt'altro, è la strada maestra per il Pd per rimanere in gioco e non rompere con Mattarella, l'unico con il quale l'ex leader intende rimanere in buoni rapporti.
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