Governo, Martina: se c'è intesa con M5S consulteremo la base Pd. Nuovo no di Calenda

Sabato 28 Aprile 2018
Maurizio Martina

Occhi puntati sulla riunione della Direzione del Pd che mercoledì 3 maggio dovrà sancire la linea dei dem e decidere se procedere verso l'intesa con i 5 stelle per formare un governo. Accordo che se dovesse passare il segretario reggente Maurizio Martina vuole portare alla consultazione della base. L'ex segretario Matteo Renzi invece parlerà domenica sera in tv da Fazio Fabio su Rai 1. Martina si è detto «molto preoccupato sia di un governo con Salvini come socio di riferimento che di una precipitazione al voto anticipato nei prossimi mesi».

«Il 3 maggio non dovremo decidere se fare o non fare un governo con M5S ma se iniziare un confronto, entrare nel merito delle questioni, capire se ci possono essere punti d'intesa. Siamo forze molto diverse e la strada è in salita. Ma i presunti vincitori del voto del 4 marzo non hanno offerto prospettive e ipotesi concrete per il Paese. Credo che arrivati a questo punto sia giusto capire se esiste la possibilità di un confronto», ha detto Martina, a L'Intervista di Maria Latella su Sky Tg24. E ha aggiunto: «Se la Direzione darà il via libera al confronto con i Cinque Stelle penso sia giusto che l'eventuale esito finale di questo lavoro venga valutato anche dalla nostra base nei territori con una consultazione».

Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo e neo iscritto del Pd, torna invece a bocciare l'ipotesi di un accordo politico con Luigi Di Maio: «È giusto assumersi una responsabilità se lo fanno tutti nel senso di un governo istituzionale, ma invece le ragioni, anche per l'Italia, di un governo politico tra M5s e Pd francamente non le vedo». E ha spiegato: «I Cinque Stelle facciano il loro governo, se ci riescono. Se non riescono il Pd una proposta la deve fare perché il tanto peggio il tanto meglio non è degno di un partito importante come il Pd. Però non alle condizioni di un governo Di Maio, perché hanno sì un terzo dei voti ma le elezioni non le hanno vinte». «Io non penso che il Movimento 5Stelle”, ha proseguito Calenda, “sia l'impero del male, non lo demonizzo, ma ritengo abbia una visione molto improntata alla fuga dalla realtà. Ogni volta che c'è un problema concreto da affrontare li ho visti sempre proporre soluzioni che non sono soluzioni: noi discutiamo sull'Ilva, potremmo far arrivare miliardi di investimenti al Sud, loro invece fanno una mozione a Bruxelles per chiudere». «Le differenze sono molte - ha aggiunto il ministro -. E fare un Governo politico, che non è in grado di mettere insieme nulla, non mi sembra una buona cosa per l'Italia».

Dopo aver sondato per 20 giorni la tenuta del centrodestra intanto il capo dello Stato Sergio Mattarella osserva scettico le contorsioni di un Pd dalle cento anime. Ed è costretto a esplorare anche gli scenari meno voluti, a partire dal ritorno rapido alle urne. Il presidente della Repubblica riceve chiari segnali sulle difficoltà che sta incontrando Martina nel cercare di portare un partito unito all'interno di un processo di dialogo con l'M5s. Forzatamente quindi deve già pensare alla prossima mossa, che è quella di tentare un «Governo di tregua» chiedendo senso di responsabilità a tutte le forze politiche.

Una richiesta forte che si basa su una convinzione suffragata da dati ripetuti: per tornare a votare in tranquillità, a ottobre o agli inizi del 2019, servirebbe una modifica alla legge elettorale che appare impossibile in questo scenario. Soprattutto in caso di urne a ottobre. Ma sicuramente serve un Governo che approvi la Legge di Bilancio 2019 e scongiuri l'aumento dell'Iva previsto dalle clausole di salvaguardia. Mattarella farà il possibile per evitare che si ripeta quanto visto in queste settimane: tre forze politiche prive di maggioranza autonoma, ancora mentalmente ancorate alla logica del maggioritario e per niente disposte a collaborare. Fornire all'estero un bis di questo stallo danneggerebbe l'immagine internazionale dell'Italia e aprirebbe le porte alla sfiducia dei mercati.

Più o meno per la stessa ragione il Capo dello Stato ha deciso sin dall'inizio delle sue riflessioni di non considerare neanche l'ipotesi di dare un incarico a una forza politica senza maggioranza autonoma per tentare la sorte in Parlamento come invece chiedono Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, entrambi favorevoli ad un incarico al centrodestra che vada poi in Aula a cercare i voti mancanti. I salti nel buio non appartengono proprio a Sergio Mattarella che, infatti, sta esplorando con cura la possibilità di governi di coalizione. Gli unici possibili dopo il verdetto del 4 marzo.

Un ritorno al voto prima dell'estate non è nelle ipotesi della realtà avendolo Mattarella sempre escluso sin da quando ancora nessuno lo chiedeva. Lo schema quirinalizio in caso si chiudesse anche la porta M5s-Pd prevede la ricerca di una figura terza (è già iniziato il «toto-nome», per ora in pole il presidente della Consulta Giorgio Lattanzi) che possa coagulare consensi e guidare un esecutivo il più largo possibile. Un Governo di tregua appunto, che possa approvare la Legge di Bilancio 2019 e - perchè non sperarci? - cambiare il Rosatellum per tornare al voto nel febbraio 2019. 

 

Ultimo aggiornamento: 29 Aprile, 13:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA