Ma lontano dal palco il ministro si sfoga: «I pm vogliono fermarmi, non ci riusciranno»

Domenica 9 Settembre 2018 di Mario Ajello
Ma lontano dal palco il ministro si sfoga: «I pm vogliono fermarmi, non ci riusciranno»
Uno dei più autorevoli oratori del Forum Ambrosetti, a Cernobbio, si avvicina a Matteo Salvini, in un corridoio riservato e gli dice sul filo dell'ironia: «Agli africani, facciamo bene a dare le aspirine, così la vita si allunga pure per loro ed è giustissimo. Però, dovremmo dargli anche quale profilattico in più, così fanno un po' meno figli e il problema migratorio in parte sarebbe risolto all'origine». Salvini risponde con un sorriso ammiccante. Come a dire: in fondo è vero.

C'è un Salvini uno e un Salvini due, in questo suo tuffo nel lago del consenso dorato che gli viene rivolto dagli imprenditori a cui si rivolge da «amministratore delegato del Viminale, sono una sorta di manager della sicurezza». «Davvero - si chiede a un certo punto Salvini isolandosi un attimo - sono piaciuto a questo mondo di imprenditori? Sono molto contento. Il bene delle imprese è il bene dell'Italia e io mi impegno per il bene sia delle une sia dell'altra». Ma questo non basta per farlo sentire tranquillo. In pubblico evita qualsiasi forzatura rispetto alle accuse che gli vengono mosse dai pm ma allo stesso tempo c'è l'altro Matteo, il Salvini due, il quale invece nella bolgia di Villa d'Este passando a mezzo metro di distanza da Raffaele Cantone, che lo ha appena criticato sui giornali, si lascia sfuggire un po' di sarcasmo tipico di chi si sente colpito e colpito ingiustamente.

«Ma certo, come dice Cantone, nessuno è al di sopra della legge. Ha ragione lui, ma tanto i magistrati hanno sempre ragione...». Il che suona più come un'altra sfida che come una resa. E poco dopo, lasciando la sala dello speach ufficiale, si lascia sfuggire un altro sfogo. Che conferma quanto il suo sforzo di correggere la rabbia dell'altro giorno tutta anti-pm sia contrastato da una profonda preoccupazione per essere entrato nell'occhio del ciclone e questa è una preoccupazione che in lui resta e che non è detto si attenuerà davvero nei prossimi giorni.

«Mi vogliono fermare in tutti i modi, ma non ce la faranno». Oppure: «Vogliono decidere tutto loro, come se l'Italia non meritasse di avere una politica che fa la politica». La pace a Roma con Di Maio dunque ha prodotto un risultato diplomatico importante per entrambi, ma Salvini sa che «il tormentone giudiziario continuerà» e che dovrà mordersi la lingua tante volte per non far esplodere il governo. Insomma, Matteo continua a tenere lo sconfinamento del potere togato. Anche se Cernobbio, così felpato, non è il luogo più adatto per appiccare incendi. Salvini prova a cavarsela con l'ironia: «L'anno prossimo sarò di nuovo qui a Villa d'Este, ammesso che resterò a piede libero», dice. E dietro le quinte del successo di critica e pubblico, interrotto solo da un breve affaccio solitario su questo ramo del lago di Como, ragiona così: «Credo che gli imprenditori abbiano capito che vogliamo governare 5 anni e che non voglio incassare, prima di allora, il successo che i sondaggi attribuiscono alla Lega. Io non faccio giochetti politici, e non sono il ministro della propaganda o tantomeno un sequestratore e un assassino. Possono pure dipingermi così, tanto i cittadini qui come altrove sanno che non è vero».

L'effetto complessivo, del Salvini format lago dorato, è quello di un leader capace di modulare il suo messaggio. Incontra parecchi imprenditori, anche auto-ironici: «Facciamo la fila per il bacio della pantofola». E qualcuno, davanti alla porta della stanza del vicepremier al quarto piano di Villa d'Este, in un eccesso di piaggeria finge di commuoversi: «Che tenerezza vederlo così già affezionato al suo nipotino che sta nascendo all'ospedale di Milano». Il piccolo Edoardo è figlio della sorella del vicepremier, Barbara, e mentre lui tiene il suo discorso gli arriva un sms. Lo legge e annuncia: «Edoardo è nato». Parte l'applauso.

Lo va a salutare anche l'ambasciatore americano, Lew Eisenberg, con cui ormai c'è una consuetudine. E a proposito di Usa, la leggenda narra che la Manpower - multinazionale americana tra le prime 5 al mondo - anni fa fece lavorare Di Maio ma Luigi non superò il periodo di prova. «Perciò», raccontano a Cernobbio, «lui ce l'ha così tanto con le agenzie per il lavoro». Salvini avrebbe potuto punzecchiare M5S, per completare l'opera di seduzione. Ma una stoccata se la concede: «Io non sono per la decrescita felice ma per la crescita economica». E per il resto: «Quante volte mi sono dovuto mordere la lingua, per non dire certe cose che penso di alcune iniziative...». Poi arriva Giuseppe Conte, ma non può essere lui la star.
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