La telefonata di Matteo al Cav e il piano B: senza intesa meglio al voto col centrodestra

Domenica 13 Maggio 2018 di Mario Ajello
La telefonata di Matteo al Cav e il piano B: senza intesa meglio al voto col centrodestra
dal nostro inviato
MILANO La telefonata parte da Milano e arriva ad Arcore. È quella di Salvini a Berlusconi: «Presidente, sono molto contento per la riabilitazione e per la candidabilità». E Silvio: «Grazie Matteo, e teniamo il centrodestra unito, mi raccomando». «Ma certo», è la risposta: «Io non lo mollo». La sentenza del tribunale di Milano riavvicina i due. E nella Lega c'è chi comincia a pensare: «Non è che converrebbe, invece di sudare tanto nella ricerca dell'accordo con i grillini e nella caccia al mitico terzo uomo da mandare a Palazzo Chigi, tornare al voto con il centrodestra unito? Ora anche Berlusconi si sente più forte e può essere tentato di dimostrarlo nelle urne...». Ovvero, si vince, si governa da soli, e dimentichiamo Giggino. E' solo un ragionamento. Non ancora una tentazione. Ma il ragionamento comincia a girare. C'è insomma la via maestra e ci sarebbe forse questa subordinata.

Intanto Salvini il governo lo vuole fare, eccome. S'è spinto fino al penultimo passo, la stesura del contratto con Di Maio. Dice di essere vicinissimo alla chiusura dell'intero pacchetto, «Tra poche ore ci sarà il nome del premier» e a parole ostenta ottimismo. Anche se, visivamente, è un po' più teso del solito, mentre entra ed esce dal super-vertice del Pirellone. Un po' perché la trattativa programmatica si sta rivelando più difficile del previsto, anche se tutti dicono che tutto va bene quando proprio così non è, e un po' perché nella Lega si sta diffondendo una preoccupazione. Così sintetizzata da uno degli sherpa del Carroccio a proposito dei grillini: «Ma reggono?». Ovvero: «Una cosa è dire sì ai punti del contratto, e i 5 stelle si stanno mostrando dialettici. Una cosa ben diversa è garantirci poi, in aula, specie al Senato dove i numeri sono risicati, ma a che alla Camera dove comanda l'ortodosso Fico, che voteranno i provvedimenti che insieme stiamo mettendo nero su bianco in queste ore». Il dubbio degli uomini di Salvini, insomma, è che Di Maio non controlli davvero i gruppi parlamentari. E che le sorprese negative, dopo tanta fatica negoziale, potrebbero essere tante e il rischio di produrre flop e delusione sarebbe deleterio. Perché la composizione della maggioranza giallo-verde è troppo disomogenea. Eccessivamente foriera di divisioni lungo il cammino di governo che già di per sé sarà assai complicato.

80% O NIENTE
E così, mentre Salvini dice che «se non avremo un accordo almeno sull'80% delle cose da fare si va a votare», si va facendo strada nella Lega il ragionamento della subordinata, quello legato alla riabilitazione e ricandidabilità di Berlusconi. Si pensa che forse possa convenire, come via più facile e meno onerosa, visti i costi per lo Stato che produrrebbe la somma di Flat Tax leghista più reddito di cittadinanza grillino, andare alle urne sempre in alleanza con Berlusconi ma con un Berlusconi direttamente in campo, più capace di attirare voti al centrodestra (senza superare nei consensi di lista la Lega, perché sennò il ragionamento crolla) e quindi una forza più un'altra forza darebbero all'alleanza quella maggioranza solida e autosufficiente che adesso non ha.
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