Il nodo giustizia/ Mini riforma che non elimina abusi e rischi per gli ascolti

Giovedì 28 Dicembre 2017 di Carlo Nordio
1
Come abbiamo scritto a suo tempo, la mini riforma sulle intercettazioni che il Governo si accinge a varare “in limine vitae” costituisce il massimo degli sforzi consentiti con il minimo dei risultati prevedibili. Massimo sforzo, perché la legge delega è vincolante, e la maggioranza politica vacilla. Minimo risultato perché rimarranno sempre i problemi di fondo. 

Il primo che, anche limitando la trascrizione ai brani essenziali, si attribuirà al magistrato l’insindacabile giudizio di ciò che è rilevante e ciò che non lo è. Il secondo, che si comprimono i tempi e i modi di accesso, per la difesa, all’ascolto della globalità delle intercettazioni. Se infatti il Pm usa una frase “rilevante” contro l’imputato, il difensore deve poter ascoltare anche tutto il resto, per la semplice ragione, ribadita fino alla noia, che estrapolare una battuta da un discorso vuol dire alterarne il significato: e questa facoltà degli avvocati rischia di essere vanificata. 
Il terzo, che la conservazione della documentazione nella cassaforte del Pm contro interferenze importune ne consente comunque l’accesso non solo ai difensori ma anche agli ausiliari, periti, consulenti ecc, allargando così la base dei sospettati in caso di divulgazione impropria, e rendendo vana, proprio come oggi, l’individuazione del colpevole.

Il quarto, che nella semplificazione delle procedure per i reati dei pubblici amministratori si segue la via tracciata dal recente codice antimafia, che assimila la corruzione ai reati di terrorismo e associazione mafiosa. Una scelta illogica, inutile e forse dannosa. Infine la mancata disciplina delle intercettazioni che coinvolgono i terzi. Quelle, per intenderci, in cui Tizio e Caio parlano di Sempronio, che non può nemmeno difendersi dalle insinuazioni dei due compari. E poiché un criminale serio sospetta sempre di essere ascoltato, se vuole eliminare un nemico può facilmente attribuirgli, in una conversazione, qualche generica nefandezza, confidando che l’insinuazione finirà presto in Procura, e quindi sui giornali. 

Queste difficoltà non saranno mai superate fino a quando non ci sbarazzeremo di un pregiudizio funesto: che esista un diritto del cittadino “ a sapere“ e che questo diritto prevalga sul quello della riservatezza delle conversazioni private. Il “diritto a sapere” è infatti un mito evanescente, che non ha alcun riscontro normativo. Esso è stato creato ad arte dalla perversa combinazione di stampa strumentale e di politica debole (con il concorso sacrilego di qualche toga) per screditare gli avversari quando non si riesce a batterli sul terreno aperto e leale dei programmi e dei contenuti. Per di più è scorretto e ingannevole, perché si limita a rivelar gli affari di chi ha avuto la sventura di esser intercettato, lasciando indenni tutti gli altri suoi pari che, affrancati per varie ragioni dalle indagini e dalle interferenze invasive, hanno potuto tener nascoste conversazioni più compromettenti e sciagurate. Il secondo diritto, cioè la tutela della segretezza, è invece solennemente garantito dall’articolo 15 della Costituzione ed è, o dovrebbe essere, direttamente vincolante per tutti. Mentre molti, a cominciare da alcuni magistrati, gli hanno reso solenne ossequio nella forma solo per il gusto di poterlo tradire nella sostanza. Per questo, una volta ribadita l’attestazione quantomeno di buon volontà del governo in un terreno così minato, non c’è da farsi alcuna illusione. Tutto, temiamo, resterà come prima.
© RIPRODUZIONE RISERVATA