Bavaglio di Grillo sul caso Roma: «Sanzioni per chi parla troppo»

Mercoledì 28 Settembre 2016 di Stefania Piras
Grillo
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«Adesso basta, non se ne può più, pure a Palermo hanno passato tutto il tempo a spalare m...». Sono sbottati così i vertici Cinque Stelle, dopo le ennesime critiche pubbliche dei parlamentari che hanno impallinato Salvatore Tutino, il terzo assessore al bilancio in pectore della giunta Raggi a Roma. E' un Beppe Grillo furioso quello che ieri è stato costretto a intimare pubblicamente il silenzio a tutti i parlamentari M5S sul caso Roma. «Ringrazio di cuore tutti i portavoce M5S che non faranno né dichiarazioni né interviste su Roma nei prossimi giorni. Grazie di cuore a tutti». Come dire: tutti zitti. La rinuncia di Tutino è piombata in Campidoglio nella mattinata di ieri.

I primi a mettersi in contatto telefonicamente con la sindaca Virginia Raggi sono stati proprio i vertici del M5S: Beppe Grillo e Davide Casaleggio. Ma non appena la notizia si è diffusa e sono comparsi i primi commenti velenosi dei parlamentari, Grillo ha deciso di bypassare completamente la comunicazione interna e imporre il silenzio su twitter usando quindi un mezzo di diffusione pubblica e immediata, vista la gravità della situazione e l'impossibilità persino per lo staff comunicazione di frenare interviste durissime contro la gestione Raggi che hanno assunto un carattere d'urgenza mai visto prima.

GLI ORTODOSSI IN TRINCEA
L'ala degli ortodossi tratta la sindaca di Roma come fosse l'esponente di un partito avverso, ed è la prova che Raggi sia ormai considerata alla stregua di un corpo estraneo da parte del M5S. Carla Ruocco fino a ieri era scatenata, e quando si è accorta di aver violato il silenzio imposto da Grillo ha scelto il basso profilo non rinunciando a parlare sui social per misurare un consenso personale: «Grazie di cuore ha scritto ai seguaci su Facebook - il vostro sostegno è la nostra forza per batterci ogni giorno con vigore e determinazione nel portate la vostra voce all'interno del Parlamento».

In pochi si sono accorti che a Palermo, nel backstage del palco, Ruocco ha salutato solo da lontano Virginia Raggi e in modo piuttosto freddo. Fare la guerra ad altri eletti è un'eresia per il M5S: il nuovo regolamento in votazione da ieri impone lealtà e collaborazione con gli eletti. E arriva a comminare - ecco la novità - la sospensione per chi provoca «una lesione all'immagine od una perdita di consensi per il MoVimento 5Stelle, o ostacola la sua azione politica».

La rinuncia di Tutino ha dato il la al solito coro di parlamentari critici e più che altro compiaciuti che l'interrogazione a firma di Alessandro Di Battista, Carla Ruocco e Roberto Fico che bollava Tutino come esponente dell'odiata casta sia valsa a qualcosa. E pazienza se a conti fatti Raggi si ritrovi senza assessore. Insomma vincono i duri e puri, perde la sindaca di Roma. Questa è la situazione dopo la diffusione della notizia della rinuncia di Tutino: senatori che esultavano, chi tirava un sospiro di sollievo e poi chi invece ormai certificava la paralisi.

Il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, un tempo consigliere di Raggi, sa che ormai su Roma si sta consumando il grado più alto delle liti interne. I suoi fedelissimi però considerano remota la possibilità che Di Maio torni a spendersi personalmente per Raggi a cui ormai è stato affidato il pacchetto oneri e onori. Ma il punto è che l'impasse di Raggi non è più nemmeno un fatto di purezza e fedeltà ai principi del M5S. La prova? Basta confrontare le motivazioni dei rifiuti di Daniela Morgante, la giudice della Corte dei Conti sondata all'epoca per il ruolo di assessore al bilancio da una Roberta Lombardi ancora parte del mini direttorio M5S, e Tutino.

Sono identici. «Non mi faccio mettere nel tritacarne», disse la prima a luglio. «Non mi faccio trattare come una pallina da ping pong da dei ragazzetti incompetenti», ha detto ieri l'ultimo della fila: Tutino. Ed è per questo che un parlamentare vicinissimo a Davide Casaleggio trae il dato politico: «Hanno ragione, chi va a fare l'assessore a Roma se non siamo in grado nemmeno di offrire un minimo di copertura politica? I professionisti competenti sono terrorizzati dalla guerra che è in grado di scatenarti il M5S».

Il combinato disposto della festa nazionale di Palermo e il ritorno di Beppe Grillo non è servito dunque a frenare i dissidi interni. E c'è chi, a Montecitorio, trasforma la direttiva di Grillo in un pensiero didascalico. E' Laura Castelli, capogruppo 5 Stelle alla Camera, che ieri ha detto «Ognuno sa cosa deve fare dei propri pensieri. Ma quello di Grillo è un modo per dire andiamo avanti. Si deve parlare di temi».
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