Deficit al 2%, così Tria ha ceduto al pressing. Ma con M5S è ancora braccio di ferro

Sabato 22 Settembre 2018 di Marco Conti
Deficit al 2%, così Tria ha ceduto al pressing. Ma con M5S è ancora braccio di ferro
«Non ci sono tabù intorno al 2% da parte di nessuno, l'importante è la credibilità della politica economica». Dosi massicce di buonumore circolavano ieri nei gruppi parlamentari del M5S. Tutto merito del vertice di ieri mattina a palazzo Chigi e di un racconto che vorrebbe il ministro dell'Economia Giovanni Tria pronto a rivedere al rialzo il rapporto deficit/pil che ufficialmente il Mef vorrebbe fissato all'1,6%, massimo 1,8%. «Arriviamo al 2% e facciamo tutto», il commento entusiasta di un sottosegretario che si dice sicuro di aver convinto il titolare di via XX Settembre.

IL COLPO
Al vertice a Palazzo Chigi con il premier Giuseppe Conte, il vicepremier Matteo Salvini, il ministro dell'Economia Giovanni Tria, mentre mancava Luigi Di Maio ancora impegnato nella trasferta cinese. Il M5s era però ben rappresentato dal ministro Riccardo Fraccaro e dalla sottosegretaria Laura Castelli. Presenti anche i ministri Enzo Moavero Milanesi, Paolo Savona e il viceministro Massimo Garavaglia. Tutti intorno ad un tavolo ad esaminare le proposte che i due partiti vogliono inserire nella manovra di bilancio e che quindi dovranno indirizzare i numeri del Def. La Lega si è seduta al tavolo con le proposta di revisione della legge Fornero, con tanto di coperture.

Stessa cosa per l'avvio della flat tax e per il reddito di cittadinanza. «C'è la piena condivisione che i cittadini vengono prima delle virgole. Perciò non ci sono tabù intorno al 2% da parte di nessuno, l'importante è la credibilità della politica economica», sostengono i grillini. Concetti analoghi a quelli che esprime il sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti che si dice non interessato «né ad una virgola né ad un numero. Interessa una politica credibile che faccia gli interessi di questo Paese e quindi convinca in Italia e all'estero che il nostro debito può essere ripagato».

Come è evidente l'assedio continua e l'avvicinarsi della data di presentazione del Def, prevista per giovedì prossimo, lo rende ancor più asfissiante. Infatti al Mef nessuno conferma l'idea di alzare il debito sino al due per cento, mentre si rimanda ai tanti tavoli tecnici che stanno lavorando per rendere certi i costi di alcune misure. A via XX Settembre non vogliono sorprese e definire la platea di coloro che usufruiranno del reddito di cittadinanza è fondamentale. Così come capire la composizione di quota cento che dovrebbe segnare l'asticella per andare in pensione. Al Mef però contano anche gli zero virgola che spostano da una parte all'altra spese e tagli. Ovviamente la scelta finale sarà politica, ma la sostenibilità, ricordata dallo stesso Giorgetti, è fondamentale per convincere gli investitori a comprare il nostro debito pubblico.

Raccontano che al vertice di ieri mattina si siano solo messe in fila le richieste - un po' più contenute - di Lega e M5S. Ma il tentativo di forzare la mano al ministro Tria è risultato evidente poche ore dopo quando il sottosegretario all'Economia in quota Lega, Massimo Bitonci, faceva notare che prima Salvini «parlava di 2,9%, ora di 2,5%», ma «io penso che si potrebbe arrivare tranquillamente tra il 2 e il 2,2%». Al Tesoro restano invece convinti che non restare sotto al 2 significa mettere a rischio la sostenibilità del debito e magari aumentarne il costo qualora lo spread dovesse salire ancora.

E' quindi molto probabile che Lega e M5S dovranno rivedere ancora le loro proposte e abbassare la quindicina di miliardi che vorrebbero avere a disposizione per avviare in maniera consistente le misure sostenute in campagna elettorale. Lunedì o martedì ci sarà un nuovo vertice e nel frattempo il Mef cercherà di capire se i mercati, e Bruxelles soprattutto, sono disposti a concedere qualche decimale in più senza provocare danni ai conti pubblici.

Resta il fatto che il M5S continua ad essere particolarmente irritato nei confronti del ministro Tria che li avrebbe costretti a rinviare a maggio del 2019 l'entrata in vigore del reddito di cittadinanza restringendo ulteriormente la platea ai cittadini europei. Ma ai dieci miliardi che servirebbero per avviare il reddito, il M5S non intende rinunciare e ieri Fraccaro al vertice è stato chiaro.
Ultimo aggiornamento: 08:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA