Praljak, dalla pulizia etnica in Bosnia alla distruzione del ponte-simbolo di Mostar, chi è il generale che si è avvelenato

Mercoledì 29 Novembre 2017
Praljak, dalla pulizia etnica in Bosnia alla distruzione del ponte-simbolo di Mostar, chi è il generale che si è avvelenato
2
Settantadue anni, aveva studiato all'accademia di arte drammatica, per poi diventare famoso come generale. Ma Slobodan Praljak forse passerà alla storia più per la sua morte, avvenuta praticamente in diretta tv. Praljak ha ingerito veleno in aula durante il processo d'appello al tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia, per i quali è stato condannato a 20 anni. Praljak è uno dei sei leader militari e politici croato-bosniaci condannati in primo grado nel 2013, accusati di aver messo in atto una pulizia etnica per espellere i non croati da alcune aree della repubblica di Bosnia Erzegovina, per creare successivamente - questa era l'idea dei leader - una "grande Croazia". Per compiere il loro progetto commisero crimini nei confronti dei musulmani e di altri non-croati che comprendevano omicidi, aggressioni sessuali e stupri, distruzione di proprietà, detenzione e deportazione, recitava l'atto di accusa del tribunale ad hoc dell'Onu che li aveva condannati in prima istanza.

Jadranko Prlic, Bruno Stojic, Milivoj Petkovic e Valentin Coric furono riconosciuti colpevoli di 22 capi di imputazione elencati nell'atto di incriminazione. Prlic, ex presidente del Consiglio di difesa croato e successivamente a capo del governo dell'entità autoproclamata in Bosnia negli anni della guerra, l'Herzeg-Bosnia, venne condannato a 25 anni di carcere. Gli altri tre a pene comprese tra i 16 e i 20 anni. Due di loro, tra cui Praljak, vennero assolti da alcuni capi di imputazione. Praljak, già assistente del ministro della Difesa croato, fu condannato comunque a 20 anni di carcere. Il Tribunale, nell'atto d'accusa, si concentrava sui crimini commessi in otto municipalità.

Tra queste c'è Mostar, considerata capitale della Bosnia Erzegovina. Nella maggior parte dei casi, concludeva, «i crimini non vennero commessi da alcuni soldati indisciplinati ma furono al contrario il risultato di un piano elaborato dagli accusati per allontanare la popolazione musulmana. Nel caso della storica città di Mostar, venne usata una «estrema violenza» per espellere i musulmani dalla parte occidentale della città: «I musulmani venivano svegliati in piena notte, pestati e cacciati dalle loro case, molte donne, tra cui una ragazza di 16 anni, vennero violentate» dai soldati del consiglio di difesa croato.

Dal giugno 1993 all'aprile 1994 Mostar Est venne tenuta sotto assedio e la popolazione musulmana fu oggetto di bombardamenti «intensi e costanti», con molti morti e feriti tra i civili.
Altre testimonianze raccolte per quel processo parlavano di abusi contro i prigionieri musulmani nei centri di detenzione del Consiglio di difesa croato, dai pestaggi alle aggressioni sessuali all'uso dei detenuti per lavori forzati sulle linee del fronte. Il processo, iniziato nell'aprile 2006, vide sfilare oltre 200 testimoni, 145 dei quali chiamati a deporre dalla procura. Un aspetto importante della sentenza e del primo atto di accusa è che nell'impresa criminale, che consisteva nel voler annettere territori bosniaci alla Croazia, vennero inclusi anche l'allora presidente Franjo Tudjman e altri responsabili politici. La sentenza ha provocato una forte reazione in Croazia, dove diversi politici l'hanno definita iniqua. 


Tra le storie che si intrecciano in questa vicenda c'è anche quella dello "Stari Most", il vecchio ponte di Mostar, perla dell'architettura ottomana del '500 del quale Slobodan Praljak ordinò la distruzione. Secondo i giudici del Tpi il ponte era un legittimo obiettivo militare. Costruito dall'architetto Hajruddin su ordine del sultano della Sublime Porta, bianco e con la sua volta a schiena d'asino, ha resistito dal 1566 per 427 anni a guerre, inondazioni e terremoti.

Poi la mattina del 9 novembre del 1993 le sue pietre precipitarono nelle acque della Neretva, colpite da tre granate: alla storia il cinico dialogo fra il comando croato, che ordinò di distruggere l'arcata sulla Neretva, e i soldati addetti al cannone. Un crollo che era stato preparato il giorno prima con almeno 60 proiettili di grosso calibro sparati dalle truppe al comando di Praljak. Quando lo Stari Most collassò nel fiume, Praljak, che per sua stessa ammissione ne aveva ordinato il bombardamento, disse: «Non è che un vecchio ponte», aggiungendo che per un dito dei suoi soldati ne avrebbe distrutti altri cento. Il nuovo Vecchio Ponte, ricostruito grazie alle donazioni di Italia, Francia, Turchia, Olanda e Croazia, fu inaugurato nel 2004.
© RIPRODUZIONE RISERVATA