Siria, dialogo con Donald e un freno ad Assad: ecco il piano di Putin

Domenica 15 Aprile 2018 di Giuseppe D'Amato
Siria, dialogo con Donald e un freno ad Assad: ecco il piano di Putin
Mantenere ferme le proprie posizioni a livello internazionale, ma iniziare a moderare il linguaggio e non cadere in possibili future «provocazioni occidentali». Questa sarà la linea seguita da Vladimir Putin, che punta anche a mettere un freno ad Assad, almeno fino alla conclusione dei Campionati del mondo di calcio, la vetrina tanto cara al capo del Cremlino, che il gigante slavo ospiterà tra giugno e luglio. Se la Russia ha ambizioni di essere una potenza nel XXI secolo non può permettersi il lusso di perdere la Siria, dove, peraltro, la vittoria definitiva pare a portata di mano. La pax moscovita è ormai imposta ai riottosi contendenti grazie ad un sapiente gioco di alleanze, ad un'azione diplomatica raffinata, al pugno di ferro militare ed all'assenza colpevole degli occidentali.

RUOLO CENTRALE
Il capo del Cremlino è l'interlocutore principe con cui tutti gli attori sul terreno parlano e concertano le proprie mosse, tanto che, nei giorni scorsi, Vladimir Putin è arrivato ad ammonire l'israeliano Benjamin Netanyahu a stare fuori dal pantano siriano, poiché sarà il Cremlino a garantire il contenimento dell'Iran. Lo stesso discorso vale indirettamente anche per gli arabi del Golfo, alleati degli Stati Uniti, che temono la creazione di basi permanenti dei pasdaran nelle regioni sotto il controllo di Bashar al-Assad.
Vladimir Putin - che ha usato il Medio Oriente per tornare ad essere considerato un leader di valenza planetaria - sa, però, perfettamente che in quell'area del mondo le alleanze sono fragili e non durature, nonostante il Cremlino stia giocandosi un match ball. E' bastato l'attacco occidentale di ieri notte che il turco Erdogan ha subito riequilibrato in parte il suo impegno verso Mosca. Dopotutto l'americano cattivo (da Ankara creduto ispiratore del colpo di Stato dell'estate 2016) era Barack Obama e non Donald Trump.

LA LIBIA DIVIDE
Stesso ragionamento per la non lontana Libia, dove occidentali e russi sono su fronti opposti: se dovesse venire confermata la morte del generale Khalifa Haftar, alleato del Cremlino a Benghasi, Vladimir Putin dovrebbe ora inventarsi qualche scaltra soluzione per non ritirarsi da quello scenario.
Più che il bombardamento occidentale di ieri, il vero scoglio per Mosca verso la definitiva affermazione in Siria appare essere rappresentato dal mantenimento dell'accordo sul nucleare iraniano, che l'America di Donald Trump sembra intenzionato a rimettere in discussione il mese prossimo. Fino ad adesso il capo del Cremlino è riuscito a tamponare mosse diversive e su questo spinoso argomento potrà trovare sponde in Europa, ma l'ultima parola non è mai detta.
Certamente la propaganda di casa propria sta sbraitando a più non posso ad uso e consumo dell'opinione pubblica federale contro il raid occidentale in Siria, ma Vladimir Putin sa perfettamente che la Russia non è l'Urss ed il bombardamento di ieri è il tentativo di Donald Trump di uscire da una difficile situazione interna leggasi scandalo Russiagate e prossime elezioni Usa di midterms. Avergli comunicato gli obiettivi che sarebbero stati colpiti di lì a poco significa che l'americano non vuole chiudergli la porta in faccia.
Anzi. Se si osservano scenari ben più ampi di quello siriano, il tycoon newyorchese necessita di Vladimir Putin per avere maggiori chance di successo nella guerra commerciale con la Cina, uno dei suoi crucci elettorali. Ecco perché il capo della Casa bianca l'ha invitato ad incontrarlo a breve, mentre espelleva dagli Stati Uniti decine di diplomatici russi, proprio per non essere accusato di essere troppo morbido con Mosca. Il grave rischio di questo confronto muscolare e del suo continuo picchiare sempre più pesante è che sfugga di controllo, poiché ci sono troppi attori pronti a menar le mani.
Mediaticamente parlando, finora il capo del Cremlino ha tutto da guadagnarci. In Medio Oriente Vladimir Putin è diventato il garante della possibile futura pacificazione oramai dietro l'angolo. Nel mondo è il difensore dell'ordine internazionale costituito.

PREZZO DA PAGARE
Con Donald Trump il presidente russo starà alla finestra aspettando le mosse dell'americano, che ha fretta di agire contro Pechino. Il prezzo da pagare è già noto: Mosca pretende dall'Occidente garanzie sulle sfere di influenze, come nel XX secolo, e nessuna interferenza nel suo cortile di casa interno, ossia nello spazio ex sovietico. Insomma come se la globalizzazione non sia mai iniziata.
 
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