Scorciatoie/ Lezione amara sui nazionalisti

Lunedì 25 Settembre 2017 di Oscar Giannino
In Europa e in Italia ha vinto la pigrizia. Nell’analisi di ciò che avrebbe significato il voto di ieri in Germania sono stati spesi milioni di parole sulla conferma della Merkel. Fiumi di parole sulla sua leadership, capace di farsi concava e convessa assorbendo temi e proposte altrui, ma sempre declinate sulla propria misurata e rassicurante capacità di comando. 

Tuttavia, man mano che l’arretramento nei sondaggi del candidato Schulz appariva incolmabile, molte analisi hanno messo in evidenza la sua debolezza. E in aggiunta, nei Paesi come l’Italia, c’è stata una terza lettura: la riprovazione per la forza economica tedesca considerata, attraverso un grande artificio autoassolutorio, all’origine del nostro alto debito pubblico e della bassa competitività. 

Scriviamo mentre i risultati elettorali non sono ancora definiti, e senza sapere che nuova coalizione nascerà a Berlino. Ma siamo convinti di una tesi molto diversa da quelle che abbiamo letto sino a ieri. Il voto tedesco non è la coraggiosa vittoria di un grande afflato europeo, incardinato in una forte cultura nazionale e per di più realizzato da un movimento che fino a pochi mesi prima non esisteva, come quello di Macron all’Eliseo e alle legislative che ha sconfitto frontalmente sia i populismi di destra e di sinistra sia i vecchi partiti del sistema gollista. Al contrario, il voto dei tedeschi confermerà certamente la Merkel cancelliera, ma punisce Cdu-Csu e umilia la Spd producendo una frattura storica: l’ingresso a vele spiegate nel Bundestag di quell’estremo nazionalismo xenofobo che è il cemento comune delle esperienze politiche negli ultimi anni del blocco di Visegrad nell’Europa orientale. Una avanzata che è molto più temibile, perché a differenza di quanto capita in Polonia e Ungheria s’innesta nel pangermanesimo - una corrente di pensiero filosofica, economica e di dottrina dello Stato - che alla storia europea ha prodotto lutti infiniti nelle guerre mondiali del Novecento. 
I voti all’estrema sinistra di Die Linke erano il comprensibile residuo del post-unificazione tedesca da una parte, e dall’altra la critica radicale di una Spd prima riformatrice e mercatista con Schroeder tra 2003 e 2005 quando, con grandi riforme del lavoro e del welfare, la Germania ha posto le basi per passare da grande malato d’Europa e leader del continente, e dopo troppo caudataria della Merkel. La valanga di voti ad Afd è tutt’altra cosa: non accoglie, come tutti i populismi, solo i voti di chi a basso reddito e basso capitale umano è escluso dal grande dividendo di benessere, persino di un Paese a bassissima disoccupazione come la Germania; offre un’alternativa radicale anche a vasti strati della piccola e media e medio-alta borghesia tedesca, riecheggiando, in chiave moderna, il testo fondante del pangermanesimo, i Discorsi alla Nazione tedesca di Fichte, in cui l’impegno alla lotta contro Napoleone veniva chiesto non contro un tiranno conquistatore, ma in nome della purezza intatta della stirpe e della cultura tedesca rispetto a quella di ogni altro popolo europeo.

Ovviamente, bisognerà vedere come Merkel e i partiti che ne condivideranno il governo crederanno opportuno reagire. Ma una cosa è certa: ciò che avviene ora è senza precedenti nella storia tedesca successiva alla seconda guerra mondiale, ed è una sfida cultural-politica di prima grandezza non solo alla società di quel Paese, ma a tutti noi europei. In Germania, è sin troppo facile prevedere che, in primis nella Cdu-Csu, si aprirà un processo alla Merkel, per essere andata troppo a sinistra spalancando le porte ai profughi nell’estate 2015. E, passando all’economia, è ovvio che sarà ancor più improbabile ogni apertura tedesca alle ipotesi di mutualizzazione dei debiti pubblici, che tanto vengono chimericamente invocati da Paesi come l’Italia. 
Ma la grande sfida è su un terreno che per importanza viene prima, rispetto ai concreti sviluppi politici che il voto determinerà in Germania e che Berlino porterà al tavolo europeo. La sfida è sulla cultura politica, che dovrebbe fondare le politiche concrete: anche se in Italia non è più così da molti anni. Come risponderanno l’Europa e l’Italia, all’influenza che sarà inevitabilmente esercitata dall’avvento in massa al Bundestag di una rappresentanza ultra-nazionalista e xenofoba, con venature di negazionismo e nostalgia mal repressa per ciò che alla politica tedesca era “indicibile”? Questa è la vera domanda. 

Il passato ha molto da insegnarci. Nell’Ottocento e Novecento, il nazionalismo dello Stato del romanticismo prima, dell’idealismo poi, e del razzismo infine ha prodotto prima gravi errori, poi tragedie. Abbiamo colpevolmente volto lo sguardo altrove, di fronte al successo dei nazionalismi in Est Europa a chiara matrice autoritaria. Ora non possiamo più farlo, di fronte all’avanzata in Germania non di Afd come partito, ma innanzitutto dello sdoganamento culturale di cui in pochi anni è stato protagonista ed è mallevadore, tacitando armate intere di intellettuali europei. E se questo è il successo che quella cultura ottiene quando dal 2009 in Germania ogni trimestre la crescita economica è solo positiva, chiedetevi: che cosa avverrebbe se – e capiterà, i cicli economici esistono – in Germania l’economia rallenteasse sul serio? 

La risposta della storia è chiara. L’errore peggiore sarebbe pensare: il nazionalismo xenofobo ha buoni motivi per risorgere di fronte alla globalizzazione ed è la via da percorrere. E molti lo penseranno e lo proporranno anche a casa nostra. Magari convinti che sia la vera soluzione ai presunti torti economici che la Germania della Merkel e Schaueble ci avrebbe inflitto. 
Guardiamoci da questo errore. Da oggi, più che mai, o esiste una nuova cultura liberale capace di governare l’immigrazione e la proiezione europea sui mercati del mondo, senza tagliarne fuori a casa nostra i giovani e chi ha meno; oppure ciò che è stato erroneamente presentato per mesi come una noiosa conferma della Merkel potrebbe rivelarsi il prodromo di una frattura storica. Di portata e conseguenze impreviste e imprevedibili.
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