Dai tabulati telefonici ai video troppe le cose che non tornano

Venerdì 8 Aprile 2016 di Cristiana Mangani
Dai tabulati telefonici ai video troppe le cose che non tornano
ROMA Duemila-tremila pagine scritte in arabo, nelle quali c'è poco o niente. Un dossier «ancora incompleto» dove mancano gli elementi fondamentali chiesti dall'Italia da oltre un mese e mezzo: l'analisi delle celle telefoniche, come e perché i documenti di Giulio siano spuntati fuori due mesi dopo la scomparsa a casa della sorella del presunto capo di una banda di sequestratori, ucciso dalle forze di polizia, e le riprese video delle telecamere poste sul percorso che avrebbe effettuato il ricercatore prima di sparire. Sarebbe questa la sostanza dell'incontro: la consegna di documentazione incompleta e che non aiuta a ricostruire la verità dei fatti. Perché, al di là di quello che stanno scrivendo i media egiziani in queste ore, quanto messo sul tavolo finora non porterebbe all'assassino, tantomeno a chi il delitto lo ha materialmente pensato e compiuto.

I due interpreti affiancati alla delegazione hanno avuto un bel da fare ieri mattina per tradurre le tante domande dei nostri investigatori, ma il risultato, almeno quello parziale, sarebbe lontanissimo da quanto stanno raccontando i giornali del Cairo. Infatti al momento nessun nome sarebbe stato fatto, neppure quello di Khaled Shalabi, il generale sui cui si è concentrata l'attenzione negli ultimi giorni.

LE MILLE VERSIONI
Nel frattempo in Egitto impazzano le illazioni. L'Agenzia Nova scrive che contemporaneamente al meeting investigativo di Roma, si sarebbe svolta al Cairo una riunione tra il capo e il vice della procura di Giza, rispettivamente Ahmed Nagy e Hossam Nassar, con il procuratore generale Nabil Sadeq, per valutare il contenuto delle mail anonime pubblicate domenica scorsa dal quotidiano la Repubblica sulle possibili responsabilità di Shalabi come autore del delitto. Un nome che, finora, non è proprio circolato nella riunione romana.
Alcuni media, poi, sosterrebbero che quanto consegnato all'Italia, ovvero il dossier con testimonianze e indagini, conterrebbe addirittura «prove materiali» che «determinano nel dettaglio la maniera in cui è stato perpetrato il crimine senza però poter giungere all'autore». A cominciare dalle registrazioni delle telecamere di sorveglianza della zona di Dokki.

IL MATERIALE
Ma se il Cairo avesse davvero consegnato quelle immagini, allora ci sarebbe da chiedere come mai, per due mesi, le autorità abbiano detto e ripetuto che non esistevano più perché cancellate dopo cinque giorni dalla registrazione, o perché totalmente inutili. Con i video, a Roma, sarebbe arrivata l'autopsia completa - una delle cinque richieste avanzate dall'Italia - le «testimonianze di ufficiali e amici» di Giulio, un «registro delle chiamate del suo telefono». Pur ammettendo che qualcosa di vero ci sia, bisognerà vedere se si tratta del materiale completo: gli inquirenti avevano chiesto i tabulati di Regeni degli ultimi due mesi (avevano già quelli degli 3 giorni precedenti la scomparsa), e i tabulati e i verbali di una dozzina di persone a lui più vicine. Oltre all'analisi delle celle telefoniche per vedere quali telefoni “agganciano” la cella di Dokki la sera del 25 gennaio e quali quella del luogo del ritrovamento il 2 e 3 febbraio.