Catalogna, la storia di El Puigdì, incubo della Spagna: una vita tra giornali, dolci e politica

Domenica 1 Ottobre 2017 di Mauro Evangelisti
Catalogna, la storia di El Puigdì, incubo della Spagna: una vita tra giornali, dolci e politica
dal nostro inviato
BARCELLONA «Puigdemont en prison» cantavano ieri pomeriggio i diecimila che hanno manifestato contro l'indipendenza in via Laietana. Il fatto che, in modo del tutto anomalo, l'account ufficiale su Twitter della Policia nacional (quindi dipendente da Madrid) abbia condiviso una foto del corteo, elogiandolo, non promette nulla di buono.

«Se serve, sono pronto anche ad andare in carcere, ad arrivare alle estreme conseguenze» aveva spiegato qualche mese fa Puigdemont, l'ex giornalista di 54 anni presidente della Generalitat della Catalogna nell'illustrare la sua battaglia per l'indipendenza. Ieri sera, i manifestanti anti indipendentisti in plaza Sant Jaume hanno insultato gli agenti, bruciato una bandiera catalana e tentato di strappare uno striscione della sede del Comune con scritto più democrazia. Puigdemont ha commentato su Twitter: «La realtà è questa: li disturbo uno striscione con scritto più democrazia e intanto a Madrid cantano Cara al sol. Per questo domani vinceremo». Cara al sol era l'inno del Partito fascista spagnolo.

Eppure, non lo doveva ricoprire quel posto Carles Puigdemont, l'uomo che ha sfidato Madrid («stiamo facendo la storia» ha urlato venerdì agli ottantamila accorsi per il comizio finale) e che ieri attaccava l'Unione europea che non ha detto una parola in difesa della Catalogna: «Sono molto deluso dalla Ue. Quando alla nostra gente si impediva di esporre un cartello per Più Democrazia, o si arrestava un giovane che aveva una web di informazione sul referendum, si proibivano riunioni o si violava la corrispondenza postale, pensavo che l'Ue tanto coraggiosa nel fare discorsi moralizzatori in altri punti del pianeta, avrebbe detto qualcosa».

MARTIRE O EROE?
Martire o eroe per caso? Solo gli eventi delle prossime ore lo diranno, anche se ieri sera sembrava davvero complicato pensare che si potranno aprire i seggi e si potrà realizzare il sogno dell'ex sindaco di Girona, città di centomila abitanti, un tempo famosa anche per ospitare l'aeroporto low cost di Barcellona. Comunque vada a finire, Puigdemont non doveva essere il presidente: Artur Mas, presidente della Generalitat dal 2010 con i centristi del CiU, provò a indire un primo referendum indipendentista nel 2014, bloccato da Madrid e risoltosi in una sorta di consultazione simbolica.

Mas convocò elezioni anticipate con l'obiettivo di costruire una grande maggioranza indipendentista con il raggruppamento Junts pel Sì. Non andò benissimo e dopo le elezioni per avere la maggioranza e governare servivano anche i voti di un partito di estrema sinistra, la Cup, che pose una condizione: il presidente non doveva essere Mas.

IL BIVIO
Ed ecco allora che la scelta ricadde sul El Puigdì (soprannome da bambino nel suo paese d'origine, Amer). È un altro bivio della vita di Puigdemont: la famiglia è proprietaria di una pasticceria, lui fa il giornalista, ma poi finisce in politica. Con la sua folta capigliatura, i completi scuri e gli occhiali, non ha l'aspetto di uno destinato a finire sulle banconote della Repubblica della Catalogna tra cent'anni se mai ci saranno.

«A dir la verità io speravo che non mi chiedessero di fare il presidente» ha sempre raccontato nelle interviste, ora si trova a gestire una delle fasi più delicati della storia della Catalogna e della Spagna. Ieri ha ripetuto ai suoi cittadini: «Manteniamo la calma, tutto deve svolgersi pacificamente».