L'Intervista al commissario Ue Avramopoulos: «A rischio l'unità europea, aiutiamo Italia e Grecia»

Lunedì 25 Gennaio 2016 di Teodoro Andreadis Synghellakis
L'Intervista al commissario Ue Avramopoulos: «A rischio l'unità europea, aiutiamo Italia e Grecia»
«NEL 2018 non è in gioco solo Schengen, si tratta dell'unità europea nel suo insieme», sottolinea il Commissario europeo per l'immigrazione e gli affari interni Dimitris Avramopoulos, che condivide le preoccupazioni di Matteo Renzi. «Non si può essere guidati dalla paura, o frenati dai populismi», dice Avramopoulos in questa sua intervista in esclusiva al Messaggero e ribadisce che l'unica soluzione è procedere insieme, verso soluzioni europee. Si tratta di soluzioni, sottolinea il commissario Ue, che comprendono il rispetto degli impegni di Italia e Grecia per la realizzazione degli hotspot - possibilmente entro febbraio - e anche l'aiuto di tre miliardi di euro, per poter sostenere i profughi che si trovano in Turchia, «in modo da realizzare specifici progetti».

Commissario Avramopoulos, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha dichiarato che «è davvero triste mettere in dubbio il trattato di Schengen». Quale è la sua opinione? Pensa che la coesione europea e la libertà di movimento siano realmente in pericolo?
«Sono d'accordo, e l'ho detto più volte, insieme al presidente Juncker: Schengen e la libertà di movimento è una delle conquiste più grandi dell'integrazione europea. Dobbiamo fare tutto il possibile per salvaguardarla, e la Commissione europea è pienamente impegnata in questo senso. La crisi dei rifugiati, oggi, sta mettendo in gioco qualcosa di più grande del solo trattato di Schengen. Si tratta dell'unità europea nel suo complesso. Oggi siamo a un punto di svolta e l'unica via è andare avanti, attraverso un approccio unito, come una vera Unione».

 

È ancora possible mantenere il principio della solidarietà, aiutare i rifugiati a costruire un futuro migliore in Europa e contemporaneamente lottare contro i populismi e i nazionalismi? Tutto ciò, garantendo anche la sicurezza in tutti i paesi dell'Unione...
«Non credo che ci sia un'alternativa. E rifiuto di essere guidato dalla paura, o di essere frenato dal populismo. La nostra responsabilità, come politici, è di affrontare ed allontanare le preoccupazioni e le paure dei nostri cittadini. Non di alimentarle. La Commissione ha messo sul tavolo due agende molto ambiziose su immigrazione e sicurezza, con molte azioni concrete. Ora è il turno dei paesi membri, che le devono mettere in pratica: dalle ricollocazioni alla Guardia costiera e di frontiera europea, sino al pacchetto di misure contro il terrorismo. Sa, è facile criticare, ricorrere ad iniziative nazionali, ma queste non sono soluzioni. Quello che sinora manca è maggiore coraggio, il procedere uniti verso soluzioni europee».

La tensione che abbiamo constatato nei giorni e nelle settimane scorse, può portare ad uno scontro tra Nord e Sud Europa, o - per dirla in modo diverso - tra paesi membri ricchi e più poveri? Pensa ci sia una via di uscita?
«Non credo in queste divisioni, non c'è un'Europa del Nord o del Sud, c'è solo una Unione europea. Se la crisi dei rifugiati ha mostrato una cosa, nei mesi passati, questa è che ciascuno, in ultima analisi, è preoccupato e ne viene toccato. Questo non è un problema greco, tedesco o svedese. È una questione europea, ed anche globale. E non c'è una sola, magica soluzione. Dobbiamo lavorare su più punti contemporaneamente: rendere operativi gli hotspot, velocizzare le ricollocazioni, aumentare i rimpatri, rafforzare la gestione delle nostre frontiere esterne e fare anche di più per quanto riguarda i reinsediamenti, le riammissioni. Speriamo di avere presto maggiori risultati dal nostro Piano di azione con la Turchia. “Last but non least”: si deve continuare a lavorare per una soluzione politica in Siria».

È soddisfatto dalla collaborazione con il governo greco e quello italiano per quel che riguarda gli hotspot? Negli ultimi giorni abbiamo sentito molte dichiarazioni, di altri paesi membri, sulla possibilità di ridurre il numero complessivo dei rifugiati che potranno essere ospitati in Europa.
«L'Italia e la Grecia hanno vissuto dei periodi di estrema pressione migratoria: l'Italia già da alcuni anni, la Grecia in particolare nel 2015. Penso che possiamo dire con franchezza che nessuno dei due paesi sia pienamente preparato ad affrontare questa pressione. Ma è qui, appunto, che la solidarietà europea deve entrate in gioco, poiché nessun paese può riuscirci da solo. Tutti e due i paesi hanno fatto molti progressi, ma purtroppo ancora non abbiamo raggiunto l'obiettivo finale. L'Italia ha già aperto 3 dei 5 hotspot, e spero che l'Italia, appunto, ma anche la Grecia, possano ultimarli tutti prima del Consiglio europeo di febbraio, come si sono impegnate a fare, e come tutti sperano. Il tempo è prezioso. La questione della riduzione dei flussi prima di tutto non è una questione italiana o greca, ma non è neanche così realistica. Non si tratta di ridurre i flussi, ma di gestirli meglio. La riduzione dei flussi dovrebbe avvenire alla loro origine, o comunque nella zona dove si creano: attraverso una soluzione politica in Siria, ed una soluzione con la Turchia, combattendo i trafficanti ed offrendo migliori condizioni socio-economiche ai rifugiati in Turchia. Ma ciò che dovrebbe essere fatto meglio è la registrazione completa delle persone negli hotspot, riducendo i flussi secondari ed irregolari, e velocizzando le riallocazioni».

I sostegni economici che l'Unione europea ha deciso di fornire alla Turchia per aiutarla ad affrontare l'emergenza profughi sono diventati un problema. Come sa, il governo italiano ha reso noto di essere pronto a contribuire con 200 milioni di euro, a patto che questa cifra non venga inclusa nei parametri di bilancio. E l'Europa deve anche verificare come Ankara userà questo importante aiuto da tre miliardi di euro...
«Prima di tutto mi lasci dire che la Turchia è sotto forte pressione. Apprezzo e voglio lodare questo paese per il fatto che sta ospitando due milioni di profughi. L'accordo con la Turchia è un vero accordo che tutte e due le parti devono applicare: la Turchia deve ridurre i flussi, deve migliorare le condizioni socio-economiche dei rifugiati nel suo territorio ed anche adempiere ai suoi obblighi in base all'accordo di riammissione. Per quanto riguarda noi, è chiaro che dobbiamo raccogliere questi tre miliardi per sostenere la Turchia. Non si tratta di soldi per la Turchia, ma piuttosto per i rifugiati che si trovano in Turchia, per specifici progetti che vengono realizzati in questo paese. Non abbiamo ancora tutti e tre i miliardi di euro, ma possiamo iniziare e già finanziare un certo numero di progetti, dal momento che ci sono dei fondi. Non abbiamo ripeto, l'intera cifra, ed è importante per la credibilità dell'Unione europea, riuscire a trovare questa somma. È questo ciò che deve essere fatto».