Yara, Bossetti: «Poteva essere mia figlia». Attesa per la sentenza d'appello

Lunedì 17 Luglio 2017
Yara, Bossetti: «Poteva essere mia figlia». Attesa per la sentenza d'appello

Massimo Bossetti, all'inizio delle sue dichiarazioni spontanee nel processo d'Appello a Brescia, ha voluto rivolgere un «sincero pensiero» a Yara Gambirasio per il cui omicidio è stato condannato all'ergastolo in primo grado. «Poteva essere mia figlia, la figlia di tutti noi - ha detto Bossetti - neanche un animale avrebbe usato tanta crudeltà». 

Bossetti ha chiesto scusa per «il comportamento scorretto» tenuto nella prima udienza quando era sbottato alle affermazioni del sostituto pg. «Pensate però come può sentirsi una persona attaccata con ipotesi fantasiose e irreali», ha detto, leggendo dei fogli estratti da una cartella rossa. Dopo le dichiarazioni del muratore, che si è sempre proclamato innocente, i giudici della Corte d'assise d'appello di Brescia si riuniranno in camera di consiglio per emettere il verdetto. Sarà il presidente della corte Enrico Fischetti a leggere la decisione: conferma della sentenza di ergastolo, riforma parziale del primo grado, assoluzione oppure perizia sul Dna, la traccia mista trovata su slip e leggings della 13enne attribuita a Ignoto 1 poi identificato in Bossetti. 

L'imputato nelle sue dichiarazioni ha cercato di spiegare ai giudici perché non è lui l'assassino della 13enne di Brembate, scomparsa il 26 novembre 2010 dal piccolo comune di Bergamo. Davanti alla sua famiglia - sempre presente la moglie Marita, la madre e la sorella gemella - ha chiesto ai giudici di assolverlo, di poter dimostrare con una perizia sul Dna che hanno preso la persona sbagliata.

«Concedetemi la superperizia» sul Dna così «posso dimostrare con assoluta certezza la mia estraneità ai fatti. Cosa dovete temere se tutto è stato svolto secondo le norme? Perché non consentite che io e la difesa possiamo visionare i reperti? Non posso essere condannato con un Dna anomalo, strampalato, dubbioso», ha detto Bossetti rivolgendosi ai giudici della corte d'assise d'Appello di Brescia. 

L'imputato ha sottolineato come fin dall'inizio abbia sostenuto che quella traccia biologica mista - della vittima e Ignoto 1 - «non può essere il mio. Non solo non ho ucciso Yara, ma non ho mai avuto un contatto con lei. Si è verificato un errore, ma non ho mai avuto la possibilità di partecipare all'esame. Se fossi l'assassino sarei pazzo a chiedere la perizia, invece io non temo nulla. Vi supplico e vi imploro di fare questa perizia», ha chiosato Bossetti. 

Bossetti ha detto di essere vittima «del più grande errore giudiziario di tutta la storia». Il muratore ha anche stigmatizzato il modo con cui fu arrestato: «C'era necessità di scomodare un esercito e umiliarmi davanti ai miei figli e al mondo intero?». Ha poi aggiunto che, quando fu fermato nel cantiere in cui lavorava (e i momenti del fermo furono filmati) si sentì «una lepre che doveva essere sbranata da innumerevoli cacciatori». «Perché, perché, perché?» ha detto il muratore. E girandosi verso il pubblico in aula per poi tornare ai giudici, ha detto: «Io non sono un assassino, mettetevelo in testa». 

L'appello di Bossetti, che si è sempre dichiarato innocente, l'1 luglio 2016 cadde nel vuoto: poche ore dopo le sue dichiarazioni la corte di Bergamo sentenziò il fine pena mai per il muratore di Mapello. Quella traccia biologica - prova granitica per i giudici di primo grado - è l'elemento intorno a cui ruota l'intero caso. L'assenza del suo Dna mitocondriale «non inficia il risultato: è solo il Dna nucleare ad avere valore forense» per il rappresentante dell'accusa Marco Martani. «Quel Dna non è suo, non c'è stato nessun match, ha talmente tante criticità - 261 - che sono più i suoi difetti che i suoi marcatori», per i difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini. 

La prova scientifica «assolutamente affidabile» per l'accusa va letta insieme agli altri indizi di un'indagine. Contro l'imputato ci sono altri elementi: dal passaggio del furgone davanti alla palestra alle fibre sulla vittima compatibili con la tappezzeria del suo Iveco; dalle sferette metalliche sul corpo di Yara che rimandano al mondo dell'edilizia all'assenza di alibi. Indizi che la difesa respinge. Il furgone immortalato vicino al centro sportivo di Brembate non è di Bossetti; le sfere e le fibre non riconducono con «nessuna certezza» all'imputato che non ha mai cambiato abitudini e che anche quella sera era a casa.

La 13enne è stata trovata senza vita in un campo incolto a Chignolo d'Isola, una zona che il muratore di Mapello conosceva per lavoro. Di diverso avviso la difesa che sostiene che la 13enne è stata portata lì solo successivamente, come dimostrerebbe una foto satellitare del 24 gennaio 2011, poco più di un mese prima del suo ritrovamento.  Su un tema le parti concordano: vittima e presunto carnefice non si conoscevano, ma Yara potrebbe aver accettato un passaggio sul furgone di Bossetti, il quale «affascinato» da questa «giovanissima donna» potrebbe aver tentato un approccio sessuale finito nel sangue, a dire dall'accusa.

Un delitto compiuto da «un perverso sessuale sadico, l'opposto esatto di Bossetti», secondo i suoi legali: le ricerche pornografiche sul computer risalgono a tre anni dopo la morte di Yara e non indicano nessuna perversione dell'imputato. Oggi a stabilire la verità saranno i giudici. 



 

Ultimo aggiornamento: 18 Luglio, 09:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA