Violenza in famiglia, corte Strasburgo condanna l'Italia: «Non fece abbastanza contro il padre e un ragazzo morì»

Giovedì 2 Marzo 2017
Violenza in famiglia, corte Strasburgo condanna l'Italia: «Non fece abbastanza contro il padre e un ragazzo morì»
La Corte europea dei diritti umani ha condannato l'Italia per non aver agito con sufficiente rapidità per proteggere una donna e suo figlio dagli atti di violenza domestica perpetrati dal marito che hanno poi portato all'assassinio del ragazzo e al tentato omicidio della moglie. 

I giudici di Strasburgo, la cui sentenza diverrà definitiva tra tre mesi se le parti non faranno ricorso, hanno stabilito che «non agendo prontamente in seguito a una denuncia di violenza domestica fatta dalla donna, le autorità italiane hanno privato la denuncia di qualsiasi effetto creando una situazione di impunità che ha contribuito al ripetersi di atti di violenza, che in fine hanno condotto al tentato omicidio della ricorrente e alla morte di suo figlio».

La Corte ha condannato l'Italia per la violazione dell'articolo 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e 14 (divieto di discriminazione) della convenzione europea dei diritti umani. I giudici hanno riconosciuto alla ricorrente 30 mila euro per danni morali e 10 mila per le spese legali. Secondo quanto risulta, si tratta della prima condanna dell'Italia da parte della Corte per un reato relativo al fenomeno della violenza domestica.

Il caso si riferisce a quanto avvenuto a Remanzacco, in provincia di Udine, il 26 novembre del 2013 quando il marito - ora in prigione - di Elisaveta Talpis uccise il figlio diciannovenne e tentò di uccidere anche la madre. La furia omicida si scatenò dopo che la signora aveva denunciato il marito e ripetute richieste di intervento rivolte alle autorità anche da parte dei vicini.

Elisaveta, la donna moldava aggredita dal marito Andrei che la notte del 26 novembre 2013 uccise il figlio, Ion di 19 anni, e la ferì in maniera grave, ha presentato una richiesta di indennizzo anche allo Stato italiano per ottenere il risarcimento dei danni da parte del marito, nullatenente.
Lo si apprende a Udine dove la donna, che è seguita dagli avvocati Samantha Zuccato e Cristina Rainis, abita con la figlia Cristina. «La signora Elisaveta - ha detto, interpellata dall'ANSA, l'avv. Zuccato che l'ha seguita fin dal processo in primo grado in cui si è costituita parte civile - era stata per alcuni mesi in un centro antiviolenza da cui era poi uscita; il procedimento aperto era stato oggetto di un'archiviazione parziale per le ipotesi di maltrattamento in famiglia. Si era arrivati davanti al giudice di pace solo per l'ipotesi di lesioni».


Elisaveta «aveva presentato una denuncia ma poi si era allontanata volontariamente dal Centro antiviolenza»: lo dice il Procuratore di Udine, Antonio De Nicolo, interpellato dall'ANSA sulla decisione della Cedu in merito all'omicidio di Remanzacco. All'epoca dei fatti De Nicolo non era ancora a capo dell'ufficio friulano ma della vicenda si è occupato quando il Ministero ha chiesto le osservazioni sul caso per sostenere le ragioni dell'Italia.
Ultimo aggiornamento: 3 Marzo, 19:53 © RIPRODUZIONE RISERVATA