Due anni dopo/Mafia Capitale, dov’è finita quella scossa

Mercoledì 30 Novembre 2016 di Mario Ajello
A due anni dalla grande scossa, quella di Mafia Capitale, da più parti si cerca di minimizzare (derubricando l’inchiesta a bolla di sapone) o di rimuovere. Ma per Roma scoprirsi profondamente marcia nei suoi poteri politici, a cominciare dal Pd la cui crisi è centrale nella vicenda Mafia Capitale, e svelarsi criminale nel suo sistema amministrativo da “mondo di mezzo” ha significato in questi 24 mesi un danno di immagine planetario. 

E non certo per colpa dei giudici che almeno hanno agito. Un danno di immagine planetario che è stato capace di capovolgere agli occhi di molti il mito della Grande Bellezza nel suo contrario e di attribuire a Roma la titolarità di ogni degrado e di qualsiasi nefandezza da buco nero e da suburra. Se a distanza di due anni questa fisionomia resiste nell’immaginario diffuso, e Mafia Capitale resta il mega brand negativo, è anche perché non si è avuto finora l’effetto che poteva seguire alla clamorosa inchiesta della Procura. Quello di una necessaria rigenerazione della politica, di un rinnovato attivismo virtuoso dei partiti che invece hanno mancato il compito di rigenerarsi e di ridare a questa città un progetto e una idea di presente e di futuro, dopo averla tradita a colpi di logiche clientelari e scandalosamente illegali. 

La formula espressiva di Mafia Capitale avrebbe avuto un successo minore se la politica, di governo e di opposizione, avesse capito la lezione e fosse stata capace di assumere un nuovo senso di responsabilità. Suturando una ferita grave. E invece, dopo l’intervento a cuore aperto che i giudici hanno praticato sul corpo malatissimo di Roma, quel che si è salvato della politica tradizionale e il potere che poi si è insediato sul Campidoglio, anche sull’onda dell’indignazione e della rabbia suscitate dal marciume pre-esistente, sembrano credere che la città inferma potesse reagire da sola. Dunque non è stata messa in campo una seria, e non parolaia, terapia di guarigione. Un surplus di sana politica sarebbe stata la risposta necessaria, per uscire davvero dalle vergogne del passato (recentissimo), per scrollarsi di dosso la nomea infamante e sopratutto per rimettere in pista la Capitale con tutte le energie che non le sono mai mancate, e che storicamente hanno fatto grande se stessa e il mondo in cui la maestà di Roma si è riflessa. 

In questo vuoto di progettualità, due anni dopo ci si chiede: fu vera mafia quella perseguita e così etichettata dai magistrati? La Cassazione allora disse di sì, convalidando gli arresti di Buzzi, di Carminati e degli altri, e ora si sta cercando la conferma processuale. In una vicenda che è andata avanti tra furbeschi ricorsi al rito abbreviato da parte di imputati del calibro delinquenziale di Odevaine (lui condannato a due anni e otto mesi e condanna anche per il democrat Ozzimo), proscioglimenti, detenzioni ancora in vigore con perdurante accusa di associazione mafiosa per Buzzi, Carminati, Panzironi, Gramazio e una moltitudine di imputati a piede libero.

Ma il nocciolo della questione, al di là degli esiti giudiziari pur importantissimi ovviamente, è che l’inchiesta ha dimostrato non solo che nel Pd e nella destra c’era del marcio ma anche che nei partiti al collasso - e nei democrat in particolare, dopo decenni di potere capitolino poi andato in crisi nell’ultima fase veltroniana - mancava e manca tuttora un vero rapporto costruttivo con i romani e con le loro esigenze. Questa frattura tra politica e società, dopo la scossa giudiziaria, non si è sanata.

E anche per questo, oggi, la vita quotidiana dei romani - in una città paralizzata dove anche i funzionari onesti ormai hanno paura di prendere decisioni - non risulta migliorata. I parchi pubblici sono ancora allo sfascio, i rifiuti non vengono raccolti come si dovrebbe, la questione dei migranti resta un problema non gestito e minaccia di diventare una bomba sociale. Non si è avuta insomma la catarsi, dopo la tragedia di aver scoperto come si era ridotta Roma, e questa colpa della politica risulta ancora più dolorosa perché significa che i partiti, o ciò che è rimasto di essi, e i movimenti non hanno saputo dare un vero seguito a quel sentimento maturo di ripulsa verso il vecchio il sistema autoreferenziale, improduttivo e corrotto che animava i cittadini. I quali infatti hanno accolto con sollievo l’inchiesta Mafia Capitale. 

Due anni dopo, lo spaesamento sembra diventato il mood collettivo. Insieme alle illusioni tradite. Servirebbe allora qualche anno di buon governo, perché si tratta di ricreare la fiducia presso i romani. Questi due anni - dal tempo di Marino a quello della Raggi passando dal breve ed esile commissariamento firmato Tronca - non sono stati spesi bene. Ma non è mai troppo tardi, a patto che la necessaria e non troppo procrastinabile rifondazione della politica sappia basarsi su soluzioni efficaci e sulla capacità di realizzarle. E si metta al riparo tanto dagli slogan populistici e demagogici, quanto dai richiami ideologici di un mondo che non c’è più. 
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