Da Ostia all'Agro pontino, quando il Lazio sconfisse la malaria con il lavoro dei romagnoli e degli emigranti del Nord est

Giovedì 7 Settembre 2017 di Paolo Ricci Bitti
Da Ostia all'Agro pontino, quando il Lazio sconfisse la malaria con il lavoro dei romagnoli e degli emigranti del Nord est
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Debellata a forza di braccia e di lacrime prima dagli emigranti romagnoli, emiliani, veneti e friulani e definitivamente delle irrorazioni del Ddt americano, la malaria ha segnato la storia della fascia costiera del Lazio da Ostia al Circeo, trasformata dalle colossali opere di bonifica iniziate 130 anni fa.

Così la morte per malaria della bambina trentina a Brescia innesca ricordi non solo in chi ha radici nella prima metà del secolo scorso, ma anche in chi passeggia a Ostia in via dei Romagnoli e in piazza dei Ravennati, in chi entra nell'ospedale intitolato a Giovanni Battista Grassi, fra i massimi studiosi della malattia, in chi ascolta nell'Agro pontino i lontani echi dei dialetti ferraresi e giuliani che ora si intrecciano con quelli della nuova ondata di immigrazione – questa volta del tutto spontanea e disorganizzata, anche se la miseria ne resta la ragione – arrivata dal Pakistan e dal Bangladesh. In chi prega Santa Maria Goretti. In chi legge, infine, i libri di Pennacchi e di Emiliani.

Ed è sempre affascinante viaggiare dalle iniziali bonifiche del delta del Tevere ispirate dal socialista romagnolo Andrea Costa, con l'arrivo nelle deserte e infernali paludi di Fiumicino nel 1885 di mezzo migliaio di scariolanti in fuga dalle carestie e dalla malaria del Ravennate, a quelle volute dal Regime fascista che importò nell'Agro pontino 50mila braccianti del nord est con le famiglie. Un'impresa mastodontica già schizzata in bozzetti 500 anni prima da Leonardo da Vinci, immaginata da Goethe alla fine del '700, ma resa infine possibile solo dalla volontà di schierare una forza d'urto umana e tecnologica senza precedenti.

Dal 1926 al 1937 le paludi perenni vennero prosciugate: canali, campi di grano e filari di eucalipto (assorbi-acqua e frangivento, in questi ultimi anni vergognosamente estirpati) presero il posto del fango e l'habitat ideale delle zanzare venne via via meno, riducendo le morti per malaria da migliaia a poche unità. In quei terreni finalmente fertili anche i cimiteri per le tantissime vittime della fatica e delle malattie di quegli anni durissimi. 

Uomini disperati avevano sconfitto in gran parte la malaria nel Lazio, ma nel 1944 altri uomini ormai sconfitti dalla Storia cercarono di diffonderla di nuovo: l'esercito nazista distrusse idrovore e canali da Ostia al Circeo e sperimentò armi batteriologiche per favorire il diffondersi della malattia.

Un colpo di coda della follia criminale i cui effetti vennero cancellati  – e questa volta definitivamente – dalle campagne nell'immediato dopoguerra con il nuovo insetticida americano, il Ddt, che veniva sparso dagli aerei nei campi e nelle paludi e che veniva pompato direttamente addosso agli abitanti delle zone endemiche della malaria, zone spesso in ginocchio, come l'Agro pontino, per il passaggio del conflitto.

Campagne che continuano fino ai primi anni 50: i casi autoctoni di malaria vanno verso l'esaurimento anche in regioni come la Sardegna, tra le zone al mondo che nei secoli hanno pianto più morti. La malaria scompare dai titoli. Nel 1960 ne muore il campionissimo Fausto Coppi, ma si è infettato in Africa e proprio la disabitudine dei medici a trattare questi casi ne ritarda la diagnosi.

Nel 1970 l'Organizzazione mondiale della Sanità dichiara l'Italia “Malaria Free”.
Ultimo aggiornamento: 18:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA