Zingaretti: non ci ripenso. E le correnti del Pd già litigano su chi farà il traghettatore

Sabato 6 Marzo 2021 di Mario Ajello
Zingaretti: non ci ripenso E le correnti del Pd già litigano su chi farà il traghettatore

Eccolo il Pd dell'addio di Zingaretti - «Non ci ripenso» - cioè un partito che si lecca le ferite e sprofonda in uno psicodramma che magari non finirà mai. Potrebbe perfino non sopravvivere questo «amalgama mal riuscito» (copyright D'Alema) se sono vere le voci che ieri hanno cominciato a circolare intorno alle macerie fumanti del Nazareno. Quelle secondo cui, se dovessero comandare gli ex renziani, potrebbe partire la scissione dei post-comunisti per rifare una sorta di Pci molto bonsai in chiave bersaniana, dalemiana e nostalgica (Leu: «Va ristrutturato il campo democratico») con tutti i possibili e anche improbabili frantumi della sinistra da aggregare. Questo sarebbe lo scenario big bang, l'extrema ratio di una convivenza diventata impossibile e di una pacificazione che, chiunque sarà segretario (Bonaccini? Orlando? Un franceschiniano? Una donna?), sarà complicatissima.

Nicola Zingaretti, cosa cambia nel Pd (e le ricadute su Roma) dopo l'annuncio delle dimissioni


L'AMAREZZA


Intanto, il 13 e 14 marzo, l'Assemblea nazionale, a cui Zingaretti da remoto come tutti parteciperà ma senza parlare, si risolverà anzitutto in una richiesta collettiva e accorta del partito a Zingaretti perché resti - ma lui sorridendo amaramente la mette così: «Tutti dispiaciuti per le mie dimissioni. Ci tenevano a farmi fuori loro» - e però la retromarcia non ci sarà. L'assemblea nazionale non può, per statuto, che ratificare le dimissioni che ieri il segretario ha inviato per iscritto alla presidente del partito Valentina Cuppi.

Dopo di che comincerà il percorso della reggenza, fino alle primarie per la scelta del segretario che potrebbero tenersi all'indomani del voto amministrativo autunnale: presumibilmente entro la fine dell'anno.

Roma, Gualtieri e il caos nel Pd: candidatura “congelata”


E' quello l'appuntamento a cui si sta preparando Stefano Bonaccini. Che ha parlato ieri con Zingaretti, dandogli tutta la sua solidarietà («Rispetto la tua scelta ma è sbagliata»), e ha poi ha rotto il silenzio pubblico in cui si era trincerato. Lo ha fatto così il presidente dell'Emilia Romagna che punta alla segreteria appoggiato per ora dagli ex renziani ma altri si aggiungeranno: «Sono sempre stato dalla parte di Zingaretti con cui ci frequentiamo fin da ragazzi. La mia fiducia personale resta immutata. Nicola deve restare». E ancora: «Non infiliamoci in discussioni tra di noi e su di noi, alla gente in pandemia interessa che si batta la pandemia». Ma il succo politico dell'esternazione di Bonaccini è questo: «Il Pd è il mio partito e non faccio parte di alcuna corrente». Traduzione: il presidente dell'Emilia Romagna non vuole farsi schiacciare sul renzismo (con Matteo è amico e Renzi lo ha sempre sostenuto anche nell'ultima campagna regionale) e punta ad avere un consenso più largo scompaginando le cordate già esistenti. Quanto al possibile ritorno dei renziani in casa Pd, per ora Renzi lo esclude e anche Rosato: «Casa nostra è un'altra».


I VETI


La linea Zingaretti è: «Io ho fatto un passo indietro, ora il partito deve fare un passo avanti». Ma lo sgambetto è la tecnica dem. Infatti all'Assemblea nazionale verrà eletto un segretario reggente. E tutti a dire: sarà una donna, cioè la Pinotti, ex ministra della Difesa. Ma la guerra tra le correnti è già scatenata. Non solo alcuni ex renziani ma anche tra gli orlandiani e tra gli orfinisti c'è chi obietta: «Ma perché dobbiamo consegnare il partito a Franceschini?». Visto che la Pinotti è di tendenza Dario. Orlando? No, perché è ministro e le due cose insieme - Nazareno e dicastero del Lavoro - non le può fare. La presidente Cuppi, a cui per statuto dovrebbe toccare la guida del partito in questi casi e non ci sarebbe bisogno neppure di eleggerla? No, perché considerata un peso troppo leggero. Il segretario o segretaria reggente avrà un compito delicato: tenere la baracca fino al 2022 con il congresso e poi toccherà al vero leader portare il Pd al voto politico del 2023. Ok, ma a chi toccherà l'onore e l'onore? Comincia a girare il nome di Debora Serracchiani, che è già stata vicesegretaria con Renzi (con il quale ha rotto però). Appartiene al gruppetto di Delrio, non sta in nessuna corrente militarizzata, e questo le può giovare. Ma la Serracchiani è vista anche in chiave candidata donna alle primarie per la scelta del segretario vero e proprio. Ma da qui ad allora c'è tempo, anche per cannibalizzarsi per bene.

 

Ultimo aggiornamento: 08:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA