Zelensky a Sanremo, tutte le volte della politica sul palco dell'Ariston: da Gorbaciov a Bono Vox (che ringraziò D'Alema)

Festival e politica si sono sempre intrecciati: diritti, disoccupazione, debito, gay, religione, corruzione, mafia, stragi, tutte le battaglie e le tematiche d’Italia si sono esibite sul palco dell’Ariston

Sabato 28 Gennaio 2023 di Mario Ajello
Zelensky a Sanremo, tutte le volte della politica sul palco dell'Ariston: da Gorbaciov a Bono Vox (che ringraziò D'Alema)

La Rai non ha dubbi: Zelensky a Sanremo ci sarà. Il governo non interviene ma non ha dubbi: il leader ucraino sul palco del festival rappresenta un contributo di conoscenza per il largo pubblico nazional-popolare italiano e non un’arma di propaganda. Ma da qui all’11 febbraio, data del mini video di Zelensky all’Ariston, le polemiche sulla sua partecipazione o meno alla cerimonia canora, parrebbero desinate a continuare. Con il risultato, se non altro, di fare pubblicità al super evento e di fare lievitare la curiosità. Non vogliono Zelensky quelli che sotto sotto sono ottimisti o quasi, o pacifisti al punto di non avere neppure un briciolo di comprensione umana per un popolo martoriato dagli invasori, e non lo vogliono quelli che ragionano così: un  conto sono le canzoni, lo spettacolo, l'intrattenimento, un altro conto è la politica, la battaglia delle idee, insomma le cose serie. Da Conte a Calenda i no-isti, del primo e del secondo tipo, si sprecano.

Ma Sanremo e la politica si sono sempre  intrecciati: diritti, poveri, disoccupazione, debito, gay, religione, corruzione, mafia, stragi, conflitto d’interesse, tutte le battaglie e le tematiche  d’Italia si sono esibite sul palco dell’Ariston, che mai è stato  neutro e unicamente concentrato sulle musiche. 

Uno come Matteo Salvini, che oggi dice di non confondere palco e realtà, trasformò le canzonette in politica quando nel 2019 guidò l’assalto contro la vittoria di Mahmood, colpevole di avercela fatta solo grazie al voto della giuria di qualità, contro il parere del pubblico che votava invece da casa, in una spettacolare dimostrazione della frattura esistente (secondo il capo leghista) tra popolo ed élite, gente ed establishment. “Sanremo deciso da un salotto radical chic”, disse l’allora ministro del governo gialloverde. Mentre oggi il ministro non più dell’Interno si augura che “Sanremo rimanga il festival della canzone italiana” e non si trasformi in un palcoscenico della politica.

Ma come potrebbe non essere politico un evento televisivo che l’anno scorso è stato visto, nell’ultima serata, da tredici milioni di telespettatori, con uno share del 65 per cento, numeri che nemmeno tutti i talk show politici riuniti sarebbero in grado di eguagliare?

L’anno scorso, sul palco dell’Ariston, Roberto Saviano raccontò la strage di Capaci, l’omicidio di Giovanni Falcone, della moglie, Francesca Morvillo, degli uomini della sua scorta, di tutti i morti per mano mafiosa, dicendo che “non prendere posizione non ci tiene al sicuro, ci priva della libertà”. Zelensky a Sanremo è un prendere posizione, e quindi dovrebbe piacere - e invece stavolta no - ai tifosi di Saviano. E invece molti di loro - o alla fine saranno pochi? - l’11 febbraio, quando il presidente ucraino sarà in onda su Rai Uno, scenderanno in piazza proprio a Sanremo per dire no all’aiuto militare all’Ucraina, contro una guerra ''fomentata da irresponsabili invii di armi e da interessi economici e geostrategici inconfessabili'', una guerra ''che ha ragioni complesse, tra cui il fatto che la Nato sia andata ad abbaiare ai confini della Russia”.

In una delle edizioni più turbolente del festival – quella del 1989 – Beppe Grillo, che ancora era solo un comico, salì sul palco e lanciò attacchi feroci ai cantanti, ai giornalisti, all'allora leader della Dc De Mita, a Claudio Martelli, al direttore generale della Rai Biagio Agnes. Infine disse: "Io vi faccio ridere e poi fanno un culo così a me". Oggi, invece, da politico ormai elevato a garante del Movimento 5 stelle, Grillo si innalza sopra il cinismo dello show e amaramente si rammarica che dalle canzoni si passi alle bombe e che “anche il dolore fa spettacolo”. 

Nel 2005, Paolo Bonolis salì sul palco e disse: “Apriamo il programma con una notizia in parte felice”. La giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena era stata liberata dalla prigionia in Iraq, ma nell’operazione un agente dei servizi italiani, Nicola Calipari, era stato ucciso. Un sospiro di sollievo, e poi un colpo: altro che leggerezza. Di politica estera si parlava  in quel caso, e di guerra e di pace. Come adesso anche se lo scenario era diverso. 

Al teatro Ariston nel 1999 arrivò Michail Gorbaciov insieme alla moglie, quando l’Unione Sovietica era già franata su sé stessa. E chi non ricorda quest’altro episodio? Lo strappo degli spartiti dell’orchestra sanremese contro la promozione in finale del principe Emanuele Filiberto con la canzone Viva l’Italia, cantata insieme a Pupo e Luca Canonici: una protesta con chiaro sottotesto anti monarchico. E molto politica. Perché Saneremo è davvero politicissima e mai - o quasi mai - in senso banale. Nel 1984 sul palco fecero irruzione gli operai dell’Italsider che rischiavano il licenziamento, in una espressione genuina di lotta di classe che fece toccare con mano al Paese che, oltre agli amori che finiscono e alle canzoni che di amore parlano c’era, e c’è, una questione sociale  enorme e dolorosa quanto o più delle pene sentimentali di tanti di noi messe in musica e personalmente e dolorosamente vissute.  

L’apice lo toccò Bono Vox quando, prima di cantare All I want is you, ringraziò il “Signor D’Alema” per il sostegno che il presidente del consiglio aveva dato alla sua campagna per cancellare il debito dei Paesi poveri, quanto noi occidentali ci sentivamo così ricchi da farci stringere il cuore dalla povertà africana, anziché farci venire il sudore freddo per l’invasione imminente. E poi disse: “Signor Berlusconi, aiuti il signor D'Alema. Questa non è politica, ma è la vita della gente". Destra, sinistra e anche Mario Merola in platea: tutti applaudirono Bono. Quanti adesso applaudiranno Zelensky? Il suo rischio, ma anche il nostro, è che  pochinspplausinpotrebbero significare ciò che molti osservatori temono e che i sondaggisti registrano, ovvero che sotto sotto c’è molta parte d’Italia che tifa per la fine della guerra anche se a vincerla dovesse essere non il super ospite di Sanremo ma Putin.

Ultimo aggiornamento: 17:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA