Tav, ultimatum di Parigi. Ma Di Maio ripete il no

Lunedì 12 Novembre 2018 di Alberto Gentili
Tav, ultimatum di Parigi. Ma Di Maio ripete il no
«Quella piazza va ascoltata, chiede futuro». La partenza di Luigi Di Maio sembra un'apertura. Ma a sera su La7, nel day after dell'imponente protesta di Torino contro il blocco della Tav, il leader 5Stelle dà un nuovo stop all'Alta velocità Torino-Lione: «Ho promesso di spendere soldi per fare opere pubbliche utili, non di fare opere pubbliche per spendere soldi e mangiarci sopra. Aggiungo che a trent'anni dall'ideazione di quella linea ferroviaria è giusto riflettere se è ancora giusto farla. Tanto più che, anche se nessuno lo dice, i lavori sono ancora a zero e io devo spendere i soldi come un buon padre di famiglia».

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Insomma, nessuna apertura. E che questa resti la linea del Movimento è confermato da Stefano Patuanelli, capogruppo in Senato: «Quella di Torino è stata una piazza importante, ma non cambia il nostro processo decisionale. Se facessimo una manifestazione no-Tav ci sarebbero centomila persone».
Il messaggio è chiaro. E chiaro anche il perché. Dopo aver dovuto ingoiare il gasdotto Tap, i 5Stelle non possono permettersi di dare il via libera a un'altra grande infrastruttura che avevano promesso di bloccare. Ed è per questo che Di Maio decide di restare sordo alla piazza di Torino, città amministrata dalla grillina Chiara Appendino, dove in quasi quarantamila hanno gridato sì allo sviluppo e no alla decrescita pentastellata. «Per noi non cambia nulla», dice un ministro 5Stelle, «sarebbero eccessivi i danni di immagine ed elettorali. Aspettiamo di vedere la relazione di Toninelli sui costi e benefici».

Un'attesa che coinvolge anche la Francia, determinata a realizzare il tunnel ferroviario di 57 chilometri tra Susa a Saint-Jean-de-Maurienne. Tant'è che oggi, a Bruxelles, la ministra dei Trasporti d'Oltralpe Elisabeth Borne scandirà al suo omologo italiano una sorta di ultimatum: entro il mese di novembre l'Italia dovrà dare una risposta definitiva. Perché se si sommassero altri ritardi, salterebbe il cronoprogramma vidimato dall'Unione europea che finanzia il 40% dell'opera e non si potrebbero aggiudicare i nuovi appalti per 2,5 miliardi. La stessa cifra che sarebbe costretto a sborsare il governo italiano se bloccasse il progetto.

LA RISPOSTA A PARIGI
Danilo Toninelli, come ha fatto finora, risponderà chiedendo un nuovo time-out. Un ulteriore rinvio. E riferirà alla Borne, secondo quanto filtra dal ministero, «come sta procedendo l'analisi dei costi e dei benefici». Facendo presente «che già adesso risultano del tutto sballate le previsioni di traffico merci fatte al momento in cui venne ideato il tunnel e che ne giustificavano la realizzazione».
Una specie di condanna preventiva dell'Alta velocità. Con un problema: la nomina della Commissione incaricata da Toninelli, e presieduta dal no-Tav Marco Ponti, non ha ancora ricevuto il via libera della Corte dei conti. Dunque, di fatto, non sarebbe formalmente operativa. «Ma gli esperti guidati da Ponti sono a lavoro da settembre nella Struttura di missione del dicastero», garantiscono nell'entourage di Toninelli. Quando il responso? «Entro l'anno». E la decisione? «Salvini ha detto a gennaio, finirà così...».
Sarà allora che scatterà il braccio di ferro tra 5Stelle e la Lega. Salvini sa bene che la piazza di Torino, dove erano presenti diversi parlamentari leghisti, è in parte sua. Che il grido dei torinesi è un appello rivolto soprattutto a lui. E parlando con i suoi ha garantito: «E' vero che abbiamo accettato l'analisi dei costi-benefici, ma non c'è scritto da nessuna parte che la Tav va bloccata. Anzi, secondo me si farà».

Una linea che davanti a taccuini e telecamere, ieri sera a Milano, il capo leghista ha declinato con maggiore prudenza, scindendo il destino della Torino-Lione da quello della Pedemontana, del Terzo Valico e del Mose: «L'analisi costi-benefici è solo per la Tav, le altre infrastrutture si faranno. Punto». Una frenata tattica, fatta per non urtare oltremisura un alleato già visibilmente irritato e nervoso, dopo le batoste subite sul fronte del decreto sicurezza, della prescrizione e davanti al rischio che il reddito di cittadinanza venga rinviato sine die. Tanto più che Salvini sa bene che da qui a gennaio molte altre cose potrebbero accadere.
 
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