Salvini e Berlusconi distanti, Meloni balla da sola: il centrodestra si fa in tre

Il botta e risposta: Matteo scelga tra noi e il governo. La replica: Giorgia ingenerosa, ho già scelto l'Italia

Sabato 5 Febbraio 2022 di Mario Ajello
Salvini e Berlusconi distanti, Meloni balla da sola: il centrodestra si fa in tre

Silvio Berlusconi non fa che parlare di centrodestra. Ma la coalizione a cui si riferisce in realtà ormai è divisa in tre. Lo stesso Berlusconi, quando parla dell'alleanza, finisce per riferirsi al proprio spicchio (liberale, moderato, europeista, super-draghiano) e non all'intera compagine. Che oltretutto non s'è mossa all'unisono, anzi, nella partita del Quirinale e le macerie di quella vicenda sono fumanti.

Con Fratelli d'Italia cresciuti ancora (primo partito italiano con il 21,1 nell'ultimo sondaggio Ghisleri), Lega sempre più in basso al 16,7 e Forza Italia (che aveva l'8,2 prima del match del Colle) scesa al 7,4. Due partiti su tre, insomma, perdono punti e tutti e tre hanno progetti diversi e sempre meno conciliabili.

La politica di Salvini è quella del pendolo: sceglie Berlusconi o sceglie Meloni? Vira verso il Ppe e un approdo giorgettiano, che è anche quello caro ai governatori leghisti, e insomma si fa più governista e meno di lotta e di governo (uno dei big vicini a Salvini: «Matteo oscilla e non decide»), più simile al centrismo berlusconiano che alla mai sopita voglia di piazza, oppure si fa trascinare dall'ossessione («Si addormenta con quella e si risveglia con quella», assicura chi lo conosce bene) del non volersi fare superare dalla Meloni e cerca di essere più barricadiero di lei pur stando in maggioranza con il Pd? Il rompicapo di Matteo è destinato a durare ancora. E c'è chi attribuisce al leader leghista questo proposito. Non un Papeete 2, ossia la rottura rispetto al governo Draghi, la fuoriuscita volontaria da questa maggioranza in cui si sente ingabbiato, ma la strategia del logoramento rispetto al premier - sulla Dad e sulle bollette, sul nucleare e sulla fuoriuscita dalle pandemia e via dicendo - finché a forza di tirare la corda, mentre anche Conte dal fronte stellato pianta paletti e trova pretesti, non sarà SuperMario a spingere la Lega all'opposizione.

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La corda spezzata

Così Salvini potrebbe dire al Nord governista, al suo elettorato che non vuole strappi e colpi di testa ma stabilità per crescere e per guadagnare: «Sono loro che non ci vogliono più al governo, non noi che non ci vogliamo più stare». Per ora la fedeltà salvinista all'esecutivo è ribadita in continuazione, ma sempre alle condizioni di Matteo: «Devono ascoltarci». Inutile dire l'imbarazzo e la preoccupazione di Giorgetti che è nota a tutti, e a Salvini per primo.
La comodità della posizione della Meloni, a fronte del travaglio leghista, si vede a occhio nudo. Esplicitata anche nel botta e risposta di ieri. «Matteo chiarisca se preferisce noi o il governo con il centrosinistra», dice Meloni. Salvini replica: «Giorgia è ingenerosa. Fra la Lega e l'Italia ho scelto il mio Paese».

Gli applausi di Fratelli d'Italia al discorso di Mattarella a Montecitorio contengono molto della strategia meloniana a breve e a lungo termine. E' quella del rafforzamento dell'«opposizione patriottica» in questo senso. Sui provvedimenti del governo Draghi nel senso dell'Agenda Mattarella - non tutti ma alcuni sì e anzitutto quelli sulla giustizia e la riforma del Csm - ci sarà la massima volontà di condivisione e non il muro del pregiudizio da partito contro. Lo sguardo di Giorgia è alle elezioni del 2023 e per presentarsi a quell'appuntamento, e eventualmente alla successiva guida del governo nel caso vinca il centrodestra e nel centrodestra vinca FdI, l'anno che manca dovrà essere forgiante. Ovvero utile a caratterizzare la destra come forza responsabile e non inutilmente demagogico-piazzaiola, con un'identità netta ma anche con una capacità di conciliarla con gli interessi generali senza scadere nella propaganda.

 

Questo spiega l'atteggiamento plaudente dei grandi elettori di FdI, a cominciare dalla leader che è uscita dall'aula definendo «un grande discorso» quello del Capo dello Stato, di fronte non solo alle parole mattarelliana sulla giustizia ma anche a quelle sulle diseguaglianze e a quelle sulla ripresa economico-sociale dell'Italia nella post-pandemia.
Un'opposizione che interloquisce, ma senza cedere: così la Meloni vuole diventare egemone nel centrodestra. A meno che non glielo smontino il centrodestra e questa è la sua grande paura: ossia il possibile cedimento proporzionalista di Lega e Forza Italia che farebbe finire la coalizione e marginalizzerebbe FdI, mentre gli altri giocano con il nascente centro e con la sinistra. E Giorgia non si fida proprio.

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