Conte-Renzi, è duello: il premier cerca i numeri in Senato e il Pd non esclude un nuovo governo

Sabato 2 Gennaio 2021 di Alberto Gentili
Conte-Renzi, è duello: il premier cerca i numeri in Senato e il Pd non esclude un nuovo governo

IL RETROSCENA
ROMA Giuseppe Conte ha lanciato il guanto di sfida a Matteo Renzi con in mano il pallottoliere.

Annunciando di essere pronto ad andare in Parlamento se Italia Viva gli toglierà la fiducia, il premier ha voluto far sapere di avere dalla sua numeri sufficienti per restare a palazzo Chigi perfino sulla frontiera del Senato. La più insidiosa.


Le cronache di Palazzo narrano di un insolito attivismo degli emissari di Conte. Il capo del governo avrebbe già in tasca una dote di dieci-dodici senatori con cui provare a tenere in piedi l'esecutivo. Grazie a un presunto accordo con il governatore ligure Giovanni Toti, Paolo Romani, Gaetano Quagliariello, Massimo Berruti sarebbero pronti a votare la fiducia, a dispetto delle smentite dei giorni scorsi. E la stessa promessa sarebbe arrivata dai centristi Antonio De Poli e Antonio Saccone e dalla presidente del gruppo delle Autonomie Julia Untenberger. In più quattro-cinque senatori renziani avrebbero sondato i vertici del Pd per tornare alla casa madre in caso di crisi.


In pochi credono però che l'operazione «abbia possibilità di successo», come dice un esponente centrista di palazzo Madama: «Questa storia non esiste. E' solo una suggestione, una furbizia, che mette in giro Conte per spaventare Renzi e costringerlo a tornare nei ranghi». Pausa, sospiro: «A meno che non sia proprio Matteo il regista dell'operazione. Potrebbe far nascere un gruppo dando alcuni dei suoi, per poi sfilarsi e restare all'opposizione dribblando le elezioni».


No ai responsabili


In più, anche se Conte dovesse davvero avere dalla sua un drappello di responsabili in grado di rendere irrilevanti i 18 voti di Italia Viva in Senato, ci sarebbe il no del Quirinale. Sergio Mattarella ha fatto filtrare di essere contrario a un governo sostenuto da uno schieramento raccogliticcio, unito solo dal desiderio di evitare le elezioni: Matteo Salvini e Giorgia Meloni avrebbero ragioni da vendere nell'invocare il voto anticipato, sostenendo che ormai il Parlamento è delegittimato dal taglio dei parlamentari e dall'esito delle ultime elezioni regionali.


Non è però solo il Quirinale a frenare questa ipotesi. Dal Nazareno filtra «forte contrarietà». «Sarebbe come fare harakiri», dice un alto esponente dem, «ci ritroveremmo ostaggi delle bizze di Toti, di ex berlusconiani e amici di Salvini vari. A quel punto sarebbero meglio, molto meglio, le elezioni: si fa un accordo con i 5Stelle, Conte costruisce la sua lista e con la destra ce la giochiamo».


Il grande bluff


Tutto questo parlare di voto anticipato suona però come un bluff. Renzi da giorni martella il Nazareno chiedendo «un premier del Pd»: «Se Zingaretti avesse il coraggio, avremmo un governo Zingaretti», ha confidato il leader di Italia Viva ai suoi, «oppure un esecutivo guidato da Franceschini con Di Maio vicepremier. Non state a sentire Dario quando minaccia le elezioni... Se gli servono 4-5 voti in Senato sono pronto a regalargli qualcuno dei miei».
Renzi fa anche sapere che, dopo il guanto di sfida lanciatogli dal capo del governo, per lui è caduta ogni ipotesi di un Conte-ter. Schema che sarebbe possibile con le dimissioni del premier, una crisi pilotata e nuova squadra di ministri con voto di fiducia in Parlamento. Epilogo sgradito sia al Pd che al presidente del Consiglio, per nulla disposti a mettersi nelle mani di Renzi: «Dal momento delle dimissioni alla nuova fiducia, saremmo in sua balia e ciò sarebbe decisamente pericoloso. Un suicidio bello e buono», dice un ministro del Pd.

Eppure, se come ormai appare certo l'ex rottamatore andrà fino in fondo e in Senato i responsabili (com'è probabile) latitassero, anche lo schema del Conte-ter tornerebbe buono per non lasciare a Salvini e Meloni il governo, la gestione dei 209 miliardi del Recovery Plan e la scelta del nuovo capo dello Stato il prossimo anno. Conte, pur ammaccato e forse commissariato da due vicepremier, resterebbe in sella. I 5Stelle non rischierebbero le elezioni e conserverebbero un premier da loro indicato. Il Pd potrebbe ottenere un ridimensionamento di Conte, il rimpasto, e quella gestione «collegiale» e «meno grillina» da sempre invocata. Discorso più o meno simile per Renzi, che incasserebbe l'indebolimento dell'odiato capo del governo, un ministro in più e la garanzia di non andare al voto. «In ogni caso un premier alla Draghi sarebbe la soluzione migliore», non si stanca di ripetere l'ex rottamatore.


La resa dei conti


Le somme si tireranno nei prossimi giorni. Renzi, assieme a Ettore Rosato e Maria Elena Boschi, attende «risposte da Conte»: «Abbiamo scritto due documenti sul Recovery Plan, qualcosa dovrà dirci...». Se il premier non dovesse soddisfare le richieste renziane, che includono il Mes e la rinuncia alle delega sui Servizi, le ministre Teresa Bellanova e Elena Bonetti «si dimetteranno aprendo la crisi. E a qual punto comincerà il gran ballo...». Quello che Renzi vuole avviare da diversi mesi.

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