Recovery, Mezzogiorno in ritardo: ora la spinta per agganciare il Nord

Il Rapporto sull'economia e la società del Mezzogiorno del 2021 rimanda l'immagine plastica di un Paese sempre più spaccato in due

Mercoledì 1 Dicembre 2021 di Michele Di Branco
Recovery, Mezzogiorno in ritardo: ora la spinta per agganciare il Nord

Italia pronta a ripartire come un treno. Ma con il Sud che arranca nei vagoni di coda con il fiato corto: in ritardo su lavoro, burocrazia, giustizia, sanità e istruzione. Il Rapporto sull'economia e la società del Mezzogiorno del 2021 rimanda l'immagine plastica di un Paese sempre più spaccato in due. Secondo lo Svimez, il Sud appare indietro in questa fase di ripresa economica: la crescita del Pil, per fine anno, è accreditata nel Centro Nord del 6,8% mentre nel Mezzogiorno salirà del 5%.

Il Mezzogiorno, quindi, appare «meno reattivo e pronto a rispondere agli stimoli di una domanda legata soprattutto a due fattori, le esportazioni e gli investimenti». E dopo un 2022 in sostanziale equilibrio, le distanze si allargheranno: nel biennio 2023-2024 la stima per il Sud è rispettivamente dell'1,9% il primo anno e dell'1,5% il secondo, mentre nel Centro-Nord il Pil crescerà del 2,6% nel 2023 e del +2% nel 2022.

Molte delle speranze di ridurre il divario sono riposte nei fondi del Pnrr. «L'economia meridionale osserva lo Svimez potrebbe avere una spinta decisiva se si spenderanno interamente i fondi destinati al Mezzogiorno (40%) e se si riuscirà a trasformare la spesa per investimenti pubblici in nuova capacità produttiva in grado di intercettare una quota maggiore di domanda, interna ed estera». Ma la strada da fare è lunga e tortuosa. Gli economisti avvertono infatti che il modesto andamento dei consumi, conseguente alla dinamica salariale piatta (15,3% di dipendenti con bassa paga nelle regioni meridionali rispetto a 8,4% in quelle centro settentrionali), il basso tasso di occupazione e l'eccessiva flessibilità del mercato del lavoro meridionale con il ricorso al tempo determinato per quasi 920mila lavoratori meridionali (22,3% al Sud rispetto al 15,1% al Centro-Nord) costituiscono uno scoglio difficile da scalfire. E poi c'è una vera e propria emergenza femminile.

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La quota

La quota di donne Neet, che non lavorano e non studiano, è molto elevata nel Mezzogiorno, circa 900mila, con valori intorno al 40% rispetto al 17% della media europea. Ed a conferma della maggiore difficoltà di accesso al mercato del lavoro delle giovani donne nel Mezzogiorno, il tasso di occupazione delle 20-34enni laureate da uno a 3 anni è appena il 44% nel Mezzogiorno a fronte di valori superiori al 70% nel Centro-Nord. Rispetto al secondo trimestre 2019, l'occupazione femminile nel Sud si è ridotta di circa 120mila unità nel 2021, (-5%, contro il -3,3% del Centro-Nord). Il problema occupazionale, peraltro, coinvolge tutti: complessivamente nel periodo 2002-2020 coloro che sono emigrati dal Sud hanno superato il milione di persone, di cui circa il 30% laureati. Problemi che la politica è chiamata ad affrontare con urgenza. «Chiediamo al governo di chiarire quel è il percorso strategico: il Mezzogiorno è decisivo sia per i vantaggi che potrà conferire al Paese rispetto all'Europa, sia per gli effetti dello sviluppo» ha avvertito il presidente di Svimez, Adriano Giannola. Tornando ai dati, il Rapporto mette in evidenza l'arretratezza del Sud in campo sanitario: un elemento molto grave nella stagione pandemica.

 

«La netta riduzione dell'assistenza ospedaliera operata per massimizzare i risparmi immediati ammonisce lo Svimez non è andata di pari passo con il rafforzamento dei servizi alternativi all'ospedale, in primis la medicina territoriale». In particolare, il tasso di assistenza domiciliare, calcolato su 10mila abitanti ultra 65enni, è pari a 715 al Nord, mentre cala a 487 nel Mezzogiorno. E in questo quadro, aumenta il disagio sociale: sono oltre 2 milioni le famiglie italiane povere, per un totale di 5,6 milioni di persone, di cui oltre 775 mila nelle regioni meridionali, per circa 2,3 milioni di persone. Al Sud, inoltre, la povertà assoluta è più elevata con un'incidenza del 9,4% fra le famiglie (era l'8,6% nel 2019).

Ultimo aggiornamento: 10:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA