Fondi Ue, subito 20 miliardi per le spese già fatte.“Freno d'emergenza” in casi eccezionali

Mercoledì 22 Luglio 2020 di Luca Cifoni
Fondi retroattivi da febbraio per le spese. “Freno d'emergenza” in casi eccezionali

 Il lunghissimo Consiglio europeo ha partorito un compromesso che concede qualcosa a tutti ma salva l'impianto voluto dalla commissione e prima ancora dall'asse Merkel-Macron; e con esso il principio quasi rivoluzionario per cui l'Unione, emettendo una forma di debito comune, si fa carico dei Paesi maggiormente in difficoltà a partire da Italia e Spagna. Dunque l'ammontare complessivo del Fondo resta a quota 750 miliardi, ma la componente di contributi a fondo perduto scende a 390, con altri 360 miliardi destinati invece a finanziamenti a tassi comunque minimi, da restituire entro il 2058. È anche vero però che il grosso delle sovvenzioni (312,5 miliardi) si concentra nel principale strumento del piano, quel Dispositivo per la ripresa e la resilienza che assegna le risorse ai progetti degli Stati. Questa scelta però ha l'effetto collaterale meno positivo di definanziare altri programmi innovativi gestiti a livello europeo, come Orizzonte Europa per la ricerca, il programma sanitario europeo e il fondo per la transizione ecologica di cui dovrebbe beneficiare anche l'Ilva di Taranto.

LE QUOTE
L'Italia vede aumentare la propria parte rispetto alla bozza della commissione: mantiene sostanzialmente gli 82 miliardi di contributi a fondo perduto, mentre la quota di prestiti lievita di circa 36 miliardi a quota 127: in tutto 209 miliardi. Si tratta della fetta di torta più abbondante; se si considera però che le risorse dovranno poi essere recuperate dal bilancio europeo, quindi anche con un aumento dei contributi di ogni Stato in base al proprio peso, sarà la Spagna ad avere il maggiore beneficio netto. Anche il nostro Paese però (considerando pure tutti gli aggiustamenti al bilancio pluriennale) riceverà dall'Unione più di quanto sarà chiamato a dare: e questo è un altro fatto storico. Una parte delle risorse verrà da una forma di tassazione comunque a livello europeo, il prelievo sulla plastica non riciclata che dovrebbe entrare in vigore dal 2021: un abbozzo di fiscalità comune che rappresenta un ulteriore fattore innovativo.
Quanto ai tempi, le sovvenzioni del Dispositivo per la ripresa e la resilienza (che come si diceva è il cuore dell'intero programma) verranno erogate per il 70 per cento nel biennio 2021-2022 e per il restante 30 per cento l'anno successivo. C'è però un meccanismo di prefinanziamento pari al 10 per cento, con la possibilità di utilizzare i fondi anche in modo retroattivo per le spese sostenute a partire dal febbraio di quest'anno: questa opzione in più è una piccola vittoria italiana.
La dibattutissima questione della governance, ovvero del controllo su ammissibilità dei piani di spesa ed erogazioni, è stata risolta con la soluzione creativa del freno di emergenza. Di fatto sarà la commissione a valutare i progetti, che poi riceveranno l'approvazione del Consiglio (e quindi dei governi) a maggioranza qualificata. Successivamente toccherà al comitato economico e finanziario (formato da funzionari nazionali, della Bce e della commissione) giudicare i target intermedi e finale. Uno o più Paesi potranno «eccezionalmente» eccepire qualcosa e in tal caso la questione sarà portata al Consiglio europeo, che in ogni caso deciderà in base al consenso. Dunque verosimilmente il freno sarà azionato in casi rari.
La contropartita per i Paesi frugali è un forte incremento dei loro rebates, gli sconti sul contributo al bilancio inventati ai tempi della Thatcher. Il gruppo di Visegrad con l'Ungheria in testa incassa invece una formulazione assolutamente blanda del principio per cui i fondi europei sono legati al rispetto dello stato di diritto. Poco più che una dichiarazione teorica.
 

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