Quattro mesi e mezzo da oggi, quasi sei dalla débâcle delle Politiche. Tanto ci metterà, il Pd (anzi il «nuovo Pd», lo battezza Enrico Letta), a scegliere il prossimo segretario.
Ma più che sul campo largo da ricucire, è sul calendario che in direzione Pd si consuma lo scontro. Perché il percorso tratteggiato da Letta alla fine scontenta (quasi) tutti: chi puntava ad allungare i tempi, come l’area vicina a Dario Franceschini e Andrea Orlando, chi invece voleva stringere. Anche perché «così – ragiona una prima fila di Base riformista, la corrente ex renziana – a marzo rischiamo di arrivarci con un partito che nel frattempo sarà sceso al 10%».
LE PREOCCUPAZIONI
Una preoccupazione che accomuna molti, al Nazareno. A cominciare dal candidato in pectore dei riformisti alla segreteria, Stefano Bonaccini: «Di fronte a una destra che in meno di 24 ore dà vita a un governo – fa notare il presidente dell’Emilia collegato da Bologna – un partito che ci mette sei mesi a scegliere il segretario non è in sintonia con il Paese. Io – suggerisce – proverei ad anticipare, per non dare l’idea che perdiamo mesi a discutere di noi». Anche perché «non è banale che non ci sarà un gruppo dirigente a decidere delle alleanze e le candidature per le regionali nel Lazio e in Lombardia», fa notare Bonaccini. La pensano così anche i «giovani turchi» (che infatti alla conta finale si astengono, portando a 16 il totale dei non voti, oltre a un contrario: «Sei mesi sono un’enormità», è la critica). Ma pure l’eurodeputata Alessandra Moretti e il senatore Alessandro Alfieri, che prova a vedere il bicchiere mezzo pieno: «Avrei scelto tempi più rapidi, ma finalmente ora possiamo partire».
E se per il momento tace Elly Schlein, che molti vedrebbero bene come avversaria “di sinistra” di Bonaccini (anche se le sue quotazioni vengono date in discesa in favore di Dario Nardella), nel mirino finiscono pure le nuove regole congressuali, che l’Assemblea di metà novembre dovrà ratificare. Regole secondo cui a individuare i due candidati che si sfideranno alle primarie del 12 marzo sarà solo il voto degli iscritti, tra gennaio e febbraio. «Sono troppo pochi, servono regole più coraggiose», prova a rilanciare Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e aspirante segretario. «Primarie davvero aperte» chiede Paola De Micheli, anche lei in corsa. Mentre Roberto Morassut parla di un meccanismo «macchinoso», che difficilmente potrà far «appassionare» al Congresso, come si era riproposto Letta. «Un’idea buona muove milioni di persone – ironizza il deputato romano – un regolamento perfetto nemmeno una».