Pd, Grillo irrompe nel caos del partito: i big dem in affanno. Le Sardine pro Zingaretti

Sabato 6 Marzo 2021
Pd, Grillo irrompe nel caos del partito: i big dem in affanno. Le Sardine pro Zingaretti

I big del Partito democratico sono ancora 'al buio', dopo le dimissioni di Nicola Zingaretti, sulla nuova guida dei dem: lo dimostrano i nuovi appelli a ripensarci, respinti dal segretario uscente che chiede «chiarezza» dopo un logorante «martellamento».

La difficoltà dei principali dirigenti Dem sta nel trovare in pochi giorni, prima dell'assemblea del 13 e 14, il nome di un segretario che traghetti il partito ad un congresso costituente, e che gestisca le delicatissime amministrative di ottobre e l'elezione del Presidente della Repubblica. In queste ore di confusione si inseriscono soggetti esterni al Pd, come Beppe Grillo che si propone come segretario alludendo ad una alleanza tra M5s e i Dem. E le Sardine che con un lungo sit-in al Nazareno sposano la linea dell'ex segretario.

Pd, dopo Zingaretti verso un segretario "traghettatore". Pinotti, Serracchiani e Delrio, i nomi in corsa

A implorare Zingaretti di tornare sui propri passi sono stati in tanti, dall'ex ministro Giuseppe Provenzano, al capogruppo al Parlamento Europeo, Brando Benifei, fino ai segretari del Veneto. L'interessato ha risposto con un «niet»: «Nel Pd da mesi - ha detto - è nata una voglia di dibattito che si è concretizzato in un martellamento quotidiano». Le dimissioni dunque servono a «sollecitare un momento di chiarezza» che dovrà avvenire all'Assemblea nazionale della prossima fine settimana, con l'elezione di un nuovo segretario, come prevede lo Statuto del Pd. Matteo Renzi coglie l'occasione per mettere il dito nella piaga e commenta le dimissioni: «Era normale che dopo il fallimento della strategia »O Conte o morte« qualcosa potesse accadere».

Zingaretti: non ci ripenso. E le correnti del Pd già litigano su chi farà il traghettatore

La «chiarezza» chiesta da Zingaretti si può tradurre o in una intesa unitaria su un nome di tregua su cui convergano tutte o quasi le correnti interne, come sollecita anche Graziano Delrio, che si chiama fuori dalla corsa; oppure, come dice qualche esponente della maggioranza interna, in un accordo entro quella stessa maggioranza su una figura che la garantisca di più sulla linea politica e sulla preparazione del congresso. I diversi nomi emersi in questi giorni rispondono ciascuno a una logica politica. Per esempio si ritiene che il futuro segretario debba essere comunque esponente della vecchia maggioranza, e i nomi di Andrea Orlando e Dario Franceschini rispondono a questa logica, pur avendo il limite del loro mandato da ministri. In questa logica rientrano anche Roberta Pinotti o Piero Fassino dell'area di Franceschini o Anna Finocchiaro della corrente di Orlando.

Quest'ultima, personalità di grande esperienza e capacità di mediazione, è fuori dal Parlamento, cosa che qualcuno considera un atout e altri un limite. Sta di fatto che i big delle varie correnti non si sono ancora parlati, benché si stiano svolgendo i primi conciliaboli (via Zoom) all'interno delle diverse aree. Tante riunioni di corrente sono previste all'inizio della prossima settimana ma nessuno esclude che, se non si trova un traghettatore il più possibile condiviso, l'assemblea possa slittare. In una giornata, dunque, afona per i principali dirigenti Dem, hanno fatto sentire la loro voce alcuni soggetti esterni. Beppe Grillo, in un post dai toni visionari e apocalittici, ha invitato il Pd a mettere nel proprio simbolo la data del 2050, come farà M5s (cosa confermata Luigi Di Maio). «Io vi invito, se mi invitate vengo, - ha scritto Grillo - faccio il segretario, vi ripeto, del Pd elevato, ci mettiamo 2050 nel simbolo, io ci sto un anno, un annetto, Conte sta di là un annetto, parliamo con tutti e facciamo dei progetti comuni».

Visione che qualcuno ha interpretato come la proposta di un Ulivo 2.0. una alleanza per i prossimi anni. Anche le Sardine hanno detto la loro presentandosi in 20 davanti alla sede del Pd, dove sono stati ricevuti per 4 ore dalla presidente del Pd, Valentina Cuppi. Alla fine Mattia Santori e Jasmine Cristallo hanno sposato sia la narrazione di Zingaretti sia la sua proposta politica: l'Assemblea dovrà «confermare il progetto Piazza Grande di Zingaretti, altrimenti lo faremo noi fuori dal Pd e gli chiederemo di appoggiarci». Parole destinate non a rasserenare il clima interno ma ad avvalorare i rumors incontrollati di una fuoriuscita da sinistra degli ex Ds, per lasciare il Pd «bad company» a Base Riformista.

«Zingaretti sta facendo bene, anzi molto bene, il presidente della Regione Lazio. Qualsiasi altra valutazione spetta a lui». Così il senatore Bruno Astorre, segretario regionale del Pd Lazio, risponde all'Adnkronos che gli chiede cosa ne pensa di una candidatura di Nicola Zingaretti a sindaco di Roma.

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