Nuovo decreto, check a metà maggio ma a Salvini non basta. E Draghi si infuria

Giovedì 22 Aprile 2021 di Marco Conti
Nuovo decreto, check a metà maggio ma a Salvini non basta. E Draghi si infuria
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Lo scontro sull’orario del coprifuoco era annunciato e ha fatto slittare di un’ora il consiglio dei ministri. Tutto è avvenuto in una riunione di capidelegazione molto agitata con i ministri Giorgetti, Gelmini, Patuanelli, Speranza e Franceschini e il sottosegretario Garofoli. Mancava, ovviamente, Matteo Salvini. E così Mario Draghi ha alzato il telefono e ha chiamato il leader della Lega al quale ha provato a ricordare che non era giusto, né corretto pretendere di rivedere l’accordo raggiunto nella riunione della cabina di regia della scorsa settimana. 

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LA VERIFICA

Ha anche provato a convincere il leader della Lega spiegandogli che tutte le misure del decreto, coprifuoco compreso, possono essere riviste prima della scadenza, così come già avvenuto - e avverrà di nuovo - se scendono i contagi e aumentano i vaccinati.

La proposta di darsi appuntamento a metà maggio, per una verifica, non è bastata a convincere il leader della Lega che avrebbe voluto far scattare lo slittamento alle 23 già da lunedì per le regioni in zona gialla. 

La conferma si è avuta pochi minuti dopo, quando durante la riunione del consiglio dei ministri il ministro Giancarlo Giorgetti ha chiesto la parola e, in qualità di capodelegazione, ha annunciato l’astensione sul decreto-riaperture.

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A Draghi non è restato che prendere atto - con forte disappunto - del primo poco strappo nella maggioranza. Avvenuto su un decreto che venerdì scorso, quando il presidente del Consiglio lo ha illustrato in conferenza stampa, era stato definito come una vittoria di Salvini e una sconfitta della linea-Speranza. Ma il leader della Lega continua ad avvertire la pressione dell’alleato di centrodestra che è rimasto all’opposizione e invece di rivendicare quanto c’è nel decreto ha giudicato più utile intestarsi ciò che manca. Non a caso, poco dopo l’annuncio dell’astensione, Giorgia Meloni si è congratulata con Salvini invitando Forza Italia a fare come il Carroccio. 

Nella battaglia sullo slittamento dell’orario alle 23 c’è anche FI, ma lo strappo della Lega ha messo in imbarazzo i ministri azzurri che intendono tornare alla carica, anche su altri punti del decreto, molto prima della scadenza ma non vogliono creare fratture con il premier. «Fiducia in Draghi, ma non potevamo votare quel decreto», si affretta a precisare Salvini che, dopo aver dato un segnale a ristoratori e partite iva, mette in chiaro che non intende andare oltre. D’’altra parte, per evitare fraintendimenti, poche ore prima era stato il capogruppo del Senato Massimiliano Romeo a dire che sulla mozione di sfiducia al ministro Speranza «la Lega non intende mettere in difficoltà il governo». 

Resta il fatto che M5S, Pd e Leu hanno duramente criticato l’atteggiamento dell’alleato definendolo «irresponsabile» e dalla «linea ondivaga». Nel M5S, mentre Luigi Di Maio si è limitato a rivendicare il successo ottenuto sulla data di riapertura delle fiere, c’è chi ha rivisto ieri pomeriggio il “film” andato tante volte in onda nel primo governo Conte che procedeva a strappi proprio a seguito degli ultimatum salviniani che minacciava di continuo premier e alleati di far cadere il governo e portare il Paese al voto. Così non accadde, i tempi sono cambiati, e Draghi intende tenere duro e non procedere a concessioni che avrebbero sancito l’avvio di una sorta di “suq” interno alla maggioranza dalle conseguenze facilmente prevedibili. Anche se il tema del contendere è marginale, rispetto alla serie di norme contenute nel decreto varato, Draghi - spinto da Pd, M5S e Leu - ha inteso ribadire un principio secondo il quale se si decide insieme dove andare, non cambio direzione solo perché qualcuno fa la voce grossa.

Nel Pd la mossa di Salvini ha risvegliato i profeti della “maggioranza Ursula” a lungo inseguita dopo la crisi del Conte2. Nelle bastonature di alcuni esponenti dem si coglie l’idea, se non la speranza, che la Lega - a forza di ultimatum - possa essere messa alla porta o decida di uscire dal governo in modo da avere la maggioranza dell’ultimo governo-Conte, più FI o un cospicuo pezzo di Forza Italia. Ma Salvini non ha nessuna intenzione di portare la Lega fuori dalla maggioranza e, semmai dovesse accadere, è molto complicato che FI possa decidere di non seguirlo. Ieri la senatrice azzurra Licia Ronzulli ha infatti difeso, anche dopo lo scontro in Consiglio, la proposta di «buonsenso» di Salvini.

Domani la riunione del consiglio dei ministri che dovrà prendere per la prima volta in esame il Recovery Plan, sarà occasione per capire se ciò che è accaduto ieri è solo un incidente di passaggio o se nella maggioranza qualcosa inizia a scricchiolare. E non solo dal lato della Lega.
 

Ultimo aggiornamento: 23 Aprile, 09:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA