Migranti, Meloni al contrattacco: «Noi li salviamo». Alla Camera assenti i ministri leghisti

Tra i banchi del governo solo Valditara. Il Carroccio: «Erano tutti stra-impegnati»

Giovedì 23 Marzo 2023 di Francesco Malfetano
Migranti, Meloni al contrattacco: «Noi li salviamo». Alla Camera assenti i ministri leghisti

Quando arriva a Montecitorio l'intenzione di Giorgia Meloni è una sola: contrattaccare.

Sia contro le opposizioni che nei confronti della Lega, capace sempre di nuovi «dispettucci». L'idea è quindi non dosare troppo parole e tono di voce. Un po' il contrario di quanto le era più o meno riuscito martedì al Senato. Il gancio sono le rinnovate accuse sulla gestione del naufragio di Cutro - stavolta piovute da M5S e Avs - che per l'esecutivo sono «inaccettabili».

Migranti e Wagner, un doppio esercito in Libia per arginare i miliziani di Putin

«Giorgia non ne può più - spiega uno dei luogotenenti di Fratelli d'Italia - «e ha fatto quello che sa fare meglio: studiare e contrattaccare». Quindi prende la parola nell'aula della Camera per replicare nel dibattito sul Consiglio europeo di oggi e prima ribadisce che «è una calunnia dire che lasciamo morire i bambini», poi si mette a snocciolare i dati. «Dal 2013 al 2023 secondo i dati Unhcr nel Mediterraneo sono morte complessivamente 25.692 persone - dice - Sono andata a guardare quale era la percentuale di quanti non si è riusciti a salvare rispetto alle partenze e i dati di questo governo sono i più bassi. Noi siamo quelli che in rapporto agli sbarchi sono riusciti potenzialmente a salvare più persone».

 

È un conto forse macabro ma i numeri della premier sono corretti: da quando si è insediato, l'esecutivo attuale ha limitato le vittime all'1%, la soglia più bassa toccata a partire dal 10,3% del Conte I. Un messaggio all'ex avvocato del popolo, con cui lo scontro proseguirà fino al primo pomeriggio, ma anche all'alleato Matteo Salvini, ancora una volta troppo impegnato al Mit per presenziare alle dichiarazioni della premier. Lui, come tutti i suoi ministri. Un dettaglio che se non era passato inosservato al Senato, ieri è diventato un vero e proprio caso. Al punto che quando dopo quasi un'ora di dibattito Meloni esce dall'Aula per una pausa, ai cronisti che le chiedono della diserzione leghista annuncia: «Arriva Valditara». Una battuta secca, quasi a lasciar intendere che ci sia stata una "chiamata alle armi" ai ministri del Carrocci. Specie dopo che Carlo Calenda su Twitter aveva fatto notare a tutti la coincidenza. Tant'è che dopo un'altra ora, non appena il titolare dell'Istruzione si allontana, si palesa Roberto Calderoli, in un'ideale staffetta utile a mostrare la compattezza del governo a cui poi prenderà poi parte anche Stefania Locatelli.

LA LEGA
La Lega, con Valditara stesso, minimizza: «Sono tutti stra-impegnati». «Cercano di differenziarsi» spiega invece uno dei capibastone di FdI alla Camera, «siamo stati minoranza anche noi, sappiamo cosa significa». Il dubbio però è che lo sgarbo di Salvini sia un messaggio alla premier rispetto alla gestione del tavolo sulla siccità (affidata, de facto, a Lollobrigida), al poco risalto dato al Ponte sullo stretto nelle iniziative di governo e soprattutto per il metodo che si sta utilizzando per le nomine ai vertici delle partecipate statali. Una partita in cui la premier pare intenzionata a cedere poco agli alleati. «Devono ricordarsi chi ha vinto le elezioni - ammonisce infatti chi segue da vicino il dossier a palazzo Chigi - ma non c'è uno scontro perché c'è spazio per tutti, nei rispettivi ruoli. E poi contano i voti: la Lega ha votato la nostra risoluzione» per Bruxelles. E cioè ha avallato la linea dell'esecutivo che, nonostante le premesse non proprio favorevoli, punta a ottenere nuovi impegni sui migranti. Il punto però non è neppure all'ordine del giorno. Si farà solo un aggiornamento sulla situazione, uno «short debrief» spiegano fonti diplomatiche, e nelle conclusioni non ci sarà più della volontà di proseguire l'implementazione di quanto stabilito al consiglio di febbraio scorso. Troppo poco per Meloni che infatti, dopo aver sentito il premier greco e il cancelliere tedesco martedì, ieri ha avuto un colloquio telefonico con il polacco Mateuzs Morawiecki. «L'obiettivo più realistico - ragionano attorno alla premier - è mettersi a capo di un fronte di pressione comune nella Ue e convincere gli Stati Uniti a sbloccare i fondi del Fmi per stabilizzare la Tunisia». Ad attendere la premier a Bruxelles però ci sarà anche la trattativa per la riforma del patto di stabilità e crescita e l'intenzione di rinnovare l'impegno Ue in Ucraina.


L'UCRAINA
Un passaggio contro cui ieri è tornato a insistere Conte nel suo intervento alla Camera. Ovvero nel secondo tempo del match iniziato dalla premier al Senato. Una partita attesa al punto che Meloni decide di restare anche se c'è un auto che la aspetta per raggiungere il Quirinale per il pranzo pre-Consiglio Ue con Sergio Mattarella. La premier si gode il momento: si agita, prende appunti, gesticola e scuote la testa ad ogni parola dell'ex premier. «Ha detto che non è il momento della pace» accusa il Cinquestelle attaccato dalla premier proprio sull'invio di nuove armi a Kiev («Dite a Putin di fermarsi, non all'Italia»). Idem quando Conte sposta il focus su migranti e sui fondi del Recovery fund. «Del Pnrr riparleremo» sibila la premier a mezza bocca. E c'è da scommetterci che sarà così.

Ultimo aggiornamento: 08:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA