Meloni, il pranzo con gli alleati: «Non riposiamo sugli allori». E stretta sul caso dossier

Il premier convoca a Chigi Salvini, Lupi e Tajani: «Ora testa al voto in Basilicata»

Martedì 12 Marzo 2024 di Francesco Bechis
Meloni, il pranzo con gli alleati: «Ora non riposiamo sugli allori». E stretta sul caso dossier

La telefonata parte da Palazzo Chigi a metà mattinata. Li convoca lei, uno ad uno. Matteo Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi raggiungono Giorgia Meloni. A tavola niente pile di arrosticini, questa volta. Ma il menù è quasi tutto abruzzese: una riunione di spogliatoio sulla maratona notturna che ha fatto trattenere il fiato al centrodestra finché le prime proiezioni non hanno certificato il bis di Marco Marsilio.

Con buona pace del campo largo, larghissimo del centrosinistra, «meglio il campo coeso», sorride la premier sorniona il giorno dopo, calata la tensione. 

Il faccia a faccia in verità serve a fare una lastra a tutti i temi in cima all’agenda del governo. A partire dallo scandalo dei dossieraggi che infiamma la maggioranza. Con Meloni che detta la linea: un no categorico all’idea, avanzata dal Guardasigilli Carlo Nordio e rilanciata dal ministro della Difesa Guido Crosetto, di una commissione parlamentare di inchiesta sui dossier illegali. 

IL MONITO
Con ordine. La sensazione di uno scampato pericolo - l’onda sarda di Conte e Schlein, in Abruzzo, non è arrivata - rallegra il clima del caminetto a Chigi. «E dicevano che doveva essere l’Ohio», scherza la presidente del Consiglio irridendo chi, alla vigilia, immaginava un voto decisivo sulla tenuta del governo, come il piccolo Stato americano decide la vittoria di un presidente. Dura poco, però, la parte conviviale. Meloni si fa seria e ammonisce gli alleati. «Ora non dobbiamo riposare sugli allori». Tradotto: meglio smaltire in fretta l’euforia, per mettere testa ai prossimi test. Non sarà un Ohio, l’elezione regionale in Basilicata il 21 aprile. Proprio come l’Abruzzo però il voto lucano vedrà tutto il centrodestra mobilitato per la rielezione del governatore azzurro Vito Bardi. In pubblico, è la linea della premier, bisognerà evitare di gonfiare clamore e aspettative per il voto locale. Cioè fare il gioco delle opposizioni che proveranno a raccontare anche le elezioni in Basilicata come un voto spartiacque, l’occasione di una spallata al governo. Tuttavia fra i leader riuniti a pranzo la posta in palio è chiarissima: un inciampo lucano può avere un impatto diretto sulle elezioni europee di giugno. E se il campo largo si è ristretto in Abruzzo, a Palazzo Chigi nessuno sottovaluta la tessitura faticosa ma ininterrotta tra Conte, Schlein e ora, pare, anche Renzi e Calenda. Testa bassa e lavorare, dunque. 

Dallo spogliatoio dell’Ital-rugby trionfante all’Olimpico a quello della maggioranza dopo l’exploit abruzzese, Meloni veste i panni dell’allenatore. Invita gli alleati a mostrare all’esterno compattezza, per non offrire il fianco. Ricorda che «il contributo di tutti è essenziale». Parole soppesate con cura. Sa bene, la premier, che nelle segreterie di partito sono già iniziati i bilanci del voto regionale. Alcuni più rosei di altri. Il boom di Forza Italia, che quasi doppia la Lega alle urne, può destare qualche malumore. E se Salvini può difendere il risultato in Abruzzo, in linea con le politiche, l’inseguimento azzurro nei sondaggi alla lunga rischia di agitare gli animi nel partito di via Bellerio. Tanto più se a giugno, al voto Ue, si trasformasse in un sorpasso. Per questo Meloni si complimenta con Tajani in privato, con discrezione. È soddisfatta, la premier, anche del risultato di Lupi e Noi Moderati, la gamba centrista che in Sardegna come in Abruzzo ha mostrato di fare la differenza. E alle Europee - ma le trattative sono ancora acerbe - potrebbe saldare un asse con Fratelli d’Italia. Si vedrà. Intanto la tenuta della roccaforte abruzzese all’assalto del tandem Conte-Schlein riaccende l’umore della timoniera del governo. Decisa lei per prima a non «riposare sugli allori», a blindare i prossimi appuntamenti elettorali. Più piazza, meno palazzo: sarà il mantra di questa primavera politica. Scandita dalla fitta agenda internazionale della premier, utile anch’essa a raccogliere consensi. Domenica il viaggio al Cairo, poi la trafila di eventi del G7. E insieme, una roadmap serratissima di eventi da Nord a Sud lungo lo Stivale. Da un lato la firma degli accordi per i fondi di coesione con le Regioni, il tour istituzionale che finora ha garantito a Meloni una vetrina elettorale non indifferente. Dall’altro appuntamenti più soft: prossimamente, la premier parteciperà a Milano a un evento sulla moda. Ovunque, all’insegna di un motto: esserci, metterci la faccia. Anche in tv: si stringono i tempi per l’atteso duello fra Meloni e la leader del Pd Elly Schlein. Manca circa un mese: poi scatta la par condicio per le Europee e le duellanti saranno costrette a condividere il palco con tutti gli altri capi-partito. Ipotesi scartata a priori dallo staff meloniano che invece punta molto sulla sfida a due, la rivalità pop tra donne forti della politica italiana.

Archiviata l’analisi del voto, si diceva, a pranzo trovano spazio le altre incombenze del governo. Meloni dà la linea sullo scandalo dei dossieraggi, i fascicoli segreti trafugati dal luogotenente della Guardia di Finanza Pasquale Striano dai server della Direzione nazionale antimafia. 

LO STOP
Dalla premier arriva un no netto alla proposta di una commissione di inchiesta parlamentare ad hoc. Nata da Nordio, rilanciata da Crosetto e lo stesso Salvini, è stata infine messa da parte con una nota dei capigruppo alla Camera e al Senato. Meglio «evitare sovrapposizioni politiche» rispetto alle inchieste della procura di Roma e di Perugia, dicono all’unisono. È la linea decisa dai quattro leader attovagliati: una commissione parlamentare richiede almeno sei mesi, intralcerebbe il lavoro della Commissione Antimafia guidata da Chiara Colosimo, sorella d’Italia vicinissima alla premier. E soprattutto può risultare in uno smacco alla magistratura che si è messa al lavoro per rivelare le cause del “verminaio” di dossier riservati dati in pasto ai giornali o perfino venduti. 

Meloni non vuole aprire ora, a tre mesi dalle Europee, un nuovo fronte con le toghe. Dà la sua parola a Forza Italia che la riforma costituzionale della giustizia con la separazione delle carriere tra giudici e pm si farà. Prima però bisogna accelerare sulla “madre di tutte le riforme”, il premierato. Del resto si parlerà dopo il voto europeo. Questo sì, può decidere il destino del governo. Altro che Ohio. 
 

Ultimo aggiornamento: 18:30 © RIPRODUZIONE RISERVATA