Meloni, cento giorni di governo. Le prossime sfide: riforme istituzionali, giustizia e trattativa con la Ue

L'avvio del governo nel segno della discontinuità. Uno stile nuovo per la prima donna a Palazzo Chigi

Domenica 29 Gennaio 2023 di Mario Ajello
Meloni, 100 giorni di governo. Le prossime sfide: riforme istituzionali, giustizia e trattativa con l'Ue

Non è solo questione di luna di miele, è anche questione di forte novità. E in 100 giorni, oggi l'anniversario della nascita del governo Meloni, la carica di diversità rispetto a sempre rappresentata dall'underdog - sua auto-definizione - che diventa guida del Paese non poteva certamente vanificarsi come fin dall'inizio avevano sperato gli avversari della leader di FdI e gli osservatori superficiali. Meloni agli occhi dei cittadini e non solo di quelli che l'hanno mandata a Palazzo Chigi resta il simbolo delle prime volte.

La prima donna premier. Il primo capo di governo di destra e che fieramente rivendica la sua storia senza complessi o sdoganamenti. La prima figura politica al vertice dell'esecutivo dopo la parentesi tecnica di Draghi e dopo troppi premier non mandati al potere dal voto popolare. La prima inquilina nella «stanza dei bottoni» che può giovarsi di una sinistra che non c'è, di un'opposizione divisa e di un sindacato debolissimo e incapace di scatenare le piazze.

Dopo 100 giorni, questo intreccio di condizioni - combinato con l'assenza di ideologismo e la continua ricerca del pragmatismo - spinge ancora Meloni, la quale non risulta infragilita dall'impatto con la realtà di governo che lei stessa così considerava all'esordio: «Sarà dura». Il suo blocco sociale - si veda lo sciopero-non sciopero dei benzinai - regge sul fronte interno, dove oltretutto i suoi alleati di governo non hanno la forza di contrapporsi alla sua premiership se non facendo distinguo ma non avendo alternative, mentre il rapporto forte, e dialettico, con la Ue considerata ancoraggio e risorsa e non gravame e avversaria è la chiave del rafforzamento sostanziale in questi oltre tre mesi della premiership di Giorgia. Con l'Europa si tratta e ci si confronta, per esempio sul Pnrr, i cui tempi e i cui costi li si vuole rivedere. Sull'immigrazione - lo scontro con Macron ma con ricucitura - stessa ratio: interlocuzione senza subalternità (una sorpresa per la Francia!).

Per non dire, e dopo i 100 giorni nei prossimi questo sarà il temone, della travagliata riforma del patto di stabilità: dossier su cui ci sono le carte in regola per far contare la posizione italiana. Con la von der Leyen nessuno scontro. Se la discontinuità poteva essere contundente, si è rivelata viceversa molto da trattativa politica all'insegna delle cose fattuali. Le stesse retromarce avvenute sembrano rispondere al principio di realtà (sui rave) e in certi casi (sui pagamenti Pos) all'adesione alle sollecitazioni europee. E ancora: è sparito il blocco navale in questi 100 giorni ma non si registra nessuna cedevolezza sugli sbarchi.

LA RETORICA E I FATTI

Allo scoccare di questo primo tagliando, c'è Meloni in Libia (dopo l'Algeria) e l'autosufficienza energetica - insieme allo scopo di fare dell'Italia l'hub del nostro continente dei rifornimenti dall'Africa - è una traduzione pratica del patriottismo, sia italiano sia europeo, che rispetto a chi era pronto ad attribuire al governo Meloni un nazionalismo vecchio e recriminatorio è una smentita evidente. Così come - e in passato Meloni e il suo partito non la pensavano così, anzi si opponevano alle trivelle - il puntare a favore del gas italiano.

La trama di questi mesi è stata quella di smontare, negli atti, tutto il fiume di retorica che da più parti si era pronti a gettare addosso al nuovo governo. E così, quello che doveva fare una politica osteggiata sotto sotto dal Capo dello Stato s'è rivelato un esecutivo che per ora non ha attivato la moral suasion del Colle. E l'incoraggiamento di Mattarella alla Meloni nel discorso di fine anno sta a simboleggiare un'intesa istituzionale (si pensi all'atlantismo e alla difesa dell'Ucraina, capisaldi dei cento giorni meloniani) che funziona. E ancora: l'ultima doveva essere finanziariamente la «manovra sovranista», tutta condoni e assalto alle casse, ed è stata assai cauta e europeisticamente compatibile. Quanto alle accise: il non rinnovo del taglio ovvero il coraggio di scelte impopolari. Ma non dovevano essere 100 giorni populisti come antipasto di un governo che sarebbe durato poco? Ora non c'è nessuno che scommette più sulla fine di una stagione che, dalle premesse, si proietta lungo l'intera legislatura. Per la squadra di Giorgia però, giudicando dagli esordi, si prospettano nodi non facili da risolvere: da quello della riforma della giustizia (la maggioranza non è compatta) a quelli della doppietta rappresentata dall'autonomia più il presidenzialismo. Dossier per i quali si prevedono non solo tempi lunghissimi, ma nel primo caso tutto lascia credere o almeno sperare che i freni di salvataggio, già abbondantemente azionati, mettano lo stop a una riforma dannosa per un Paese che al momento pare incamminato su una buona strada.

Ultimo aggiornamento: 30 Gennaio, 08:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA