Draghi: «Nuove regole Ue per spingere il Pil, la crisi non è finita»

Venerdì 2 Luglio 2021 di Luca Cifoni
Draghi: «Nuove regole Ue per spingere il Pil, la crisi non è finita»

L’emergenza Covid non è finita e c’è ancora bisogno di fare debito. Debito «buono», come Mario Draghi lo aveva definito già la scorsa estate: ieri il presidente del Consiglio parlando all’Accademia dei Lincei ha avuto modo di specificare ancora meglio il concetto: il ricorso alla spesa in deficit è opportuno oltre che per fronteggiare gli effetti diretti di un evento estremo come la pandemia, anche per finanziare gli investimenti e permettere ai governi di attuare una politica anti-ciclica, ovvero di stimolo all’economia in una fase in cui questa sia in calo.

Ma per concretizzare quest’ultimo tipo di politica economica anche i Paesi più deboli devono essere messi in grado di emettere «debito sicuro» che non faccia cioè scattare un rialzo dei tassi di interesse. E quindi - anche se Draghi non è entrato nei dettagli - serve una qualche forma di garanzia comune.

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Le alternative

Il premier ha difeso la scelta fatta a livello europeo di intervenire a sostegno di famiglie e imprese durante la fase più dura della crisi pandemica, quando l’alternativa era «tra recessione e depressione». La prima strada ha comportato l’utilizzo di ingenti risorse pubbliche e quindi l’incremento del debito pubblico, lievitato in percentuale del Pil di 15 punti nella media europea e di 25 nel nostro Paese. Un incremento destinato a proseguire, perché una parte dell’indebitamento privato delle aziende, garantito dallo Stato, si scaricherà inevitabilmente sui conti pubblici.

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Ma le politiche espansive nella visione dell’ex presidente della Bce dovrebbero servire oltre che a tamponare le emergenze, con interventi da attuare in caso di un nuovo aggravamento della pandemia, anche a stimolare l’accelerazione della ripresa: il 4,2 per cento previsto per il nostro Paese è destinato ad essere rivisto verso l’alto (proprio ieri il ministro dell’Economia Franco ha definito raggiungibile una stima del 5 per cento) ma si tratta di un ritmo ancora non sufficiente a riparare i danni della crisi sanitaria e a recuperare - nel caso del nostro Paese - ritardi che si erano accumulati già in precedenza. Un’economia che viaggi a una velocità superiore a quella registrata fino al 2019 può permettere anche di compensare, con maggiori entrate fiscali, proprio i costi della maggiore mole del debito: basterebbe un punto aggiuntivo di crescita del Pil, o poco più.

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Gli investimenti dei programmi nazionali di ripresa e resilienza sono quindi un esempio di buon uso delle risorse in deficit ma allo stesso tempo sono una prova impegnativa per i Paesi come l’Italia, che ha deciso di usare tutte le risorse a disposizione, sia sotto forma di sovvenzioni che di prestiti: Draghi ha ricordato la nostra responsabilità come principali beneficiari del Next Generation Eu: «Se sapremo utilizzare queste risorse in maniera produttiva e con onestà non aiuteremo soltanto l’economia italiana, rafforzeremo anche la fiducia all’interno dell’Unione Europea». Allo stesso tempo si tratta di dare garanzie ai Paesi che «hanno tassato i loro cittadini per poter dare denaro a noi sotto forma di sussidi».
Qualcosa del genere dovrebbe succedere anche in caso di uno shock che - a differenza di quello legato al Covid - vada a colpire in futuro un solo Paese, in una situazione in cui la Bce non sia più in grado di mantenere la propria politica monetaria ultra-accomodante. Quel Paese potrebbe non essere in condizioni di attuare la necessaria politica anti-ciclica, perché al momento di incrementare il proprio debito rischierebbe di dover fronteggiare un aumento dei tassi di interesse e il conseguente circolo vizioso. Insomma quel che accadde nel 2011.
Per evitare che uno scenario del genere si ripeta serve qualche meccanismo europeo. Il presidente del Consiglio, pur pesando le parole, ha detto che «a livello europeo dobbiamo dunque ragionare su come permettere a tutti gli Stati membri di emettere debito sicuro per stabilizzare le economie in caso di recessione». Se non proprio una garanzia comune, qualche strumento che vada nella stessa direzione. Da definire nei prossimi mesi: «La discussione sulla riforma del Patto di Stabilità, per ora sospeso fino alla fine del 2022, è l’occasione ideale per farlo» ha sintetizzato Draghi.

Ultimo aggiornamento: 09:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA