Trattativa Stato-mafia, Mannino assolto da tutto: un inferno lungo 31 anni

Sabato 12 Dicembre 2020 di Lara Sirignano
Trattativa Stato-mafia, Mannino assolto da tutto: un inferno lungo 31 anni

PALERMO Il suggello della Cassazione arriva a cinque anni dall'assoluzione di primo grado. Calogero Mannino esce per sempre dal processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.

Non ha commesso il fatto, avevano scritto i giudici della corte d'appello nel verdetto che da oggi è definitivo. È la fine di un'odissea lunga 30 anni. Cominciata con un'accusa di concorso in associazione mafiosa e l'onta delle manette. Dieci mesi in una cella e 33 chili persi. Quando lascia il carcere Mannino è solo l'ombra del potente politico siciliano che aveva varcato il portone di Rebibbia. Lo aspetteranno altri 14 mesi di arresti domiciliari, mai risarciti, nonostante anche quel processo si sia concluso con una sfilza di assoluzioni.


L'accusa


Nel giorno in cui la Suprema Corte respinge il ricorso contro il verdetto d'appello di Palermo che l'aveva scagionato, Lillo Mannino si toglie qualche sassolino dalla scarpa. E accusa di «ossessione persecutoria» la Procura generale che non si è rassegnata a chiudere la partita e si è rivolta ai giudici romani. Più o meno le stesse parole che aveva utilizzato quando il gup, 5 anni fa, al termine di un processo che di abbreviato aveva solo il nome e che si era trascinato per anni, lo aveva mandato assolto. Allora gli strali dell'ex ministro erano rivolti ad Antonio Ingroia, l'ex pm che l'aveva portato a giudizio con l'accusa di minaccia a Corpo politico dello Stato.


«Non posso rischiare di morire prima che questa storia si sia conclusa», aveva detto Mannino, annunciando la strada del rito abbreviato. Una scelta che in molti non compresero, ma che a distanza di tempo si è rivelata saggia, visto che il processo principale per la trattativa, che vede alla sbarra i suoi ex coimputati - i vertici dei carabinieri del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, diversi capimafia e l'ex senatore Marcello Dell'Utri - in primo grado si è concluso con condanne a due cifre. E, pendente in appello e appesantito da un'istruttoria infinita e decine di migliaia di pagine di atti, è ben lontano dalla conclusione.


Sulla stagione terribile delle stragi del 92, sul presunto accordo che pezzi dello Stato, a dire dei pm, avrebbero stretto con i boss per far cessare il tritolo, assicurando alla mafia, in cambio, benefici carcerari e impunità, al momento abbiamo due verità giudiziarie.
Un caos processuale fatto di due verdetti: quello, definitivo, di assoluzione di Mannino, ritenuto dalla Procura uno dei protagonisti della minaccia mafiosa che avrebbe piegato lo Stato, e quello, pesantissimo, di condanna dei suoi presunti complici. Vicende diverse è vero, ma assolutamente interdipendenti visto che l'ex ministro, nella tesi dell'accusa, è il motore del dialogo scellerato, così i pm hanno sempre definito la trattativa tra i carabinieri e il boss Totò Riina.


Se viene meno il ruolo di Mannino - e ora lo dice la Cassazione - viene meno, infatti, un capitolo fondamentale della storia della cosiddetta trattativa. Il capitolo che racconta la genesi del patto che, per l'accusa, sarebbe nato dal tentativo dell'ex ministro di salvarsi la vita. Dopo il diktat di Riina, che aveva dichiarato la guerra ai politici infedeli e ne aveva chiesto la testa, Mannino, dicono i pm, avrebbe cercato di far aprire un dialogo col padrino corleonese.


La trattativa


Senza l'ex ministro la storia perde pezzi dunque e ci si chiede per conto di chi i carabinieri del Ros avrebbero trattato con la mafia e come tre ufficiali dell'Arma, da soli, avrebbero potuto interloquire con i boss stragisti promettendo, in cambio della fine delle bombe, la resa dello Stato. Chi garantì i militari infedeli dunque? Non Mannino, dice la Cassazione. Non Nicola Mancino, altro politico coinvolto con una accusa di falsa testimonianza, ma di fatto indicato dai pm come l'uomo messo al Viminale per garantire la linea morbida delle istituzioni nei confronti dei clan. Mancino, come Mannino, è uscito assolto ormai definitivamente. Non in abbreviato, ma nel dibattimento principale ancora in corso. Per lui la Procura non ha neppure presentato appello. Ed è uscito di scena come un personaggio secondario dopo anni di accuse.

© RIPRODUZIONE RISERVATA