La trattativa legale è avviata. Lo scambio di testi del nuovo statuto M5S, quelli che Conte ha mandato a Grillo e quelli che Grillo insieme al nipote avvocato (Enrico, che è anche legale di Ciro nel processo per il presunto stupro), s'intrecciano in una via vai da giorni, ma adesso è in arrivo Beppe a Roma per il faccia a faccia domani con il leader in pectore dei 5 stelle: «Mi vuoi esautorare? Non permetterti, sai...». «Ma Beppe, come mai puoi pensare che farei una cosa del genere...».
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M5s, Grillo e Conte sul futuro del movimento
La distanza è sul terzo mandato. Grillo insiste: «Resti il divieto». Conte pretende un 10-20 per cento dei parlamentari meritevoli ammessi al terzo giro - così si fa il suo pacchetto di sfondamento, la corrente degli ultra-contisti - e la trattativa Beppe Giuseppi dovrebbe concludersi così: Grillo consente le deroghe, e in cambio ottiene la non eliminazione dei poteri del garante, cioé della sua persona, che Conte amerebbe tanto inserire nello statuto. A chi tra i parlamentari in preda all'orror vacui lo chiama preoccupato, alla vigilia del suo arrivo a Roma, l'Elevato risponde: «Tranquilli, non vi libererete mai di me». Lo stesso Conte tranquillizza tutti: «Con Beppe si lavora benissimo, ed è impensabile il nostro movimento senza di lui». Se non fosse che Grillo ha la tegola giudiziaria pesante sulla sua famiglia - l'inchiesta sul figlio Ciro e la male gestione comunicativa della vicenda da parte del genitore: il famoso video-boomerang - e ha posizioni ingombranti anche in politica estera (forza Cina).
Non ci sono insomma, tra i problemi, soltanto quelli relativi al ruolo del Garante che non vuole diventare un fantasma ed essere mangiato dai grillini ribaltando una scena di un suo spettacolo di qualche anno fa: con lui che ingurgitava grilli fritti. L'ingurgitato non vuole essere lui. Ma soprattutto: «Non dobbiamo morire democristiani!», questo il timore con cui Grillo arriva a Roma. Teme che il combinato disposto pomiglianese-pugliese, cravattone più pochette, formato da Di Maio e Conte possa portare a un partitino tradizionalissimo, a una sorta di mini Dc, o addirittura alla situazione che il Dibba ha sempre denunciato: «Rischiamo di diventare come l'Udeur». Sotto sotto a molti grillini questa evoluzione, o involuzione, non dispiacerebbe: restare pochi ma buoni, e tutti con poltrone ministeriali o di sottogoverno al seguito non sarebbe un cattivo destino.
IL RILANCIO
Il «non morire democristiani» di Beppe significa: «Dobbiamo rilanciare la democrazia diretta, l'ecologia, la partecipazione, il pensiero, la fantasia». Più futurismo e meno pochette (intanto Conte la cravatta l'ha tolta) è il partito che vorrebbe Grillo. Conte lo asseconda almeno a parole: «C'è piena sintonia tra di noi». Ma la tutela di Beppe non è, come prospettiva, in cima alle preferenze dell'ex premier. Che vuole essere il primus inter pares in un vertice a quattro: lui più tre vice ovvero (forse) Chiara Appendino, il fedelissimo ex sottosegretario Turco e l'amico Bonafade.
Ma sulla Appendino c'è anche il pressing sia di Conte sia di Grillo per ricandidarla a sindaca a Torino: per salvare il rapporto con il Pd il cui candidato uscito vittorioso dalle primarie, Lo Russo, i grillini torinesi giudicano: «Invotabile. E' stato il nostro peggior nemico». Ma anche a Napoli fioccano i problemi: si teme che molti 5 stelle nel segreto dell'urna scelgano il candidato civico del centrodestra, il pm Maresca, e non il rossogiallo Manfredi.