M5S, 35 lettere ai morosi: in otto verso l'espulsione

Domenica 12 Gennaio 2020 di Simone Canettieri
M55, lettere ai morosi ed espulsioni. La sfida di Di Maio in calo sui social

Una nuova grana piomba nel marasma M5S, alle prese con la complicata transizione del dopo-Di Maio. Il meccanismo si è messo in moto ieri sera quando sono partite le lettere dei probiviri grillini ai parlamentari morosi. In tutto sono 35 i deputati e senatori raggiunti dall’avviso: adesso avranno tempo dieci giorni per rispondere alle contestazioni e poi arriverà la scure dei vertici. 

Le sanzioni per chi non si è messo in regola variano a seconda della gravità delle singole posizioni. Si parte dal «richiamo bonario» per i “distratti”, ma per chi non ha restituito nemmeno un euro nel 2019 non ci saranno attenuanti: l’espulsione. Allo stesso modo, per chi ha versato alla casa madre solo i primi mesi dell’anno appena passato, si apriranno le porte della sospensione. Un processo che accompagnerà, in molti casi e specie alla Camera, l’approdo verso il nascituro gruppo Eco di Lorenzo Fioramonti. Secondo il sito tirendiconto.it e le informazioni incrociate con i diretti interessati Nadia Aprile, Andrea Vallascas, Paolo Romano, Flora Frate e Dalila Nesci (che nei giorni scorsi ha anche contattato l’ex ministro dell’Istruzione) andranno verso il cartellino rosso. Un discorso simile, ma con altre dinamiche, al Senato: la lista dei super morosi qui comprende, al di là di Vittoria Bogo Deledda da tempo fuori per motivi di salute, Michele Giarrusso, Lello Ciampolillo, Cristiano Anastasi e Fabio Di Micco. Giarrusso ha spiegato di «non poter pagare» perché avrebbe accantonato i soldi per le cause in cui è coinvolto, stesso discorso per il collega a Montecitorio, Romano.

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LA CAMPAGNA 
Il verdetto, salvo rinvii strategici, dovrebbe arrivare alla vigilia delle elezioni in Calabria ed Emilia Romagna, dove ieri ha fatto tappa Luigi Di Maio per sostenere il candidato governatore M5S Simone Benini. Il leader pentastellato per la prima volta ha deciso di mettere la faccia su una sfida locale dai riflessi nazionali. E così oltre ad attaccare l’ormai ex amico Matteo Salvini («Ora non vuole più il taglio dei parlamentari? È da ricovero») ha passato comunque la giornata a scacciare le ombre di chi gli chiede pubblicamente di mollare la leadership del Movimento. «Che su 300 parlamentari del M5s, anzi 320, ce ne siano tre che lo chiedono è legittimo. Secondo me è profondamente scorretto far apparire la richiesta di tre come la ribellione del movimento: questo è un problema mediatico», ha spiegato. Sfidando così i ribelli, autori del documento presentato in Senato. Allora ecco la risposta di Mattia Crucioli: «Non abbiamo raccolto alcuna firma solo per cortesia nei confronti del collega Crimi, che in assemblea al senato ci ha espressamente chiesto di non farlo. Del resto non abbiamo ansie di numeri. La resa dei conti è spostata agli Stati generali di marzo. L’idea che Di Maio possa fare un «passo di lato» come capo politico viene data ormai per scontata da tutti i big. Il problema è come. L’idea che la guida del partito possa essere gestita in maniera corale è assodata: Paola Taverna (che conta ormai anche sull’appoggio del capogruppo Gianluca Perilli e di Roberta Lombardi) e Roberto Fico spingono in questa direzione con la benedizione di Beppe Grillo. Ma poi si aprirebbe subito la ripercussione sul governo perché a quel punto occorrerebbe cambiare anche il capo delegazione: il nome di Stefano Patuanelli, titolare del Mise, è in pole position. «Ma - come racconta chi conosce bene il ministro degli Esteri - Luigi non uscirà umiliato da questa partita». 
 

Ultimo aggiornamento: 16:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA