M5S, la crisi identitaria passa dal caso Di Matteo. Dopo la Tav, le trivelle, il Pd e il Mes cade un'altra stella

Martedì 5 Maggio 2020 di Simone Canettieri
M5S, la crisi identitaria passa dal caso Di Matteo. Dopo la Tav, le trivelle, il Pd e il Mes cade un'altra stella

«E'  il segno dei tempi, la caduta dell'ultimo totem». Chi da sempre segue i meccanismi interni del M5S non può che notare in controluce nella guerra tra il ministro Alfonso Bonafede e il pm antimafia Nino Di Matteo l'ennesimo segnale di un'evoluzione di Movimento. Un cambiamento che però è la spia di una crisi identitaria sempre più inesorabile, accompagnata ormai da risultati elettorali che da due anni vede i grillini in picchiata in tutte le competizioni elettorali.

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Dunque dopo il sì alla Tav e alle Trivelle, il governo con il Pd, il quasi sicuro via libera al Mes quando approderà in parlamento adesso c'è anche la caduta della stella Di Matteo, «guida spirituale del M5S in fatto di giustizia e legalità», dice per esempio Max Bugani, volto storico dei pentastellati e già braccio destro di Gianroberto Casaleggio. Sempre Bugani auspica un incontro chiarificatore tra il pm - membro del Csm - e il Guardasigilli. 

Senza dimenticare però che nel merito le ombre sollevate dal magistrato sulla nomina al Dap nel 2018 di Francesco Basentini se vere andrebbero oltre la semplice questione interna alla vita di un partito. Da Giletti Di Matteo ha detto: «Venni raggiunto dalla telefonata del ministro Bonafede il quale mi chiese se ero disponibile ad accettare il ruolo di capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, o in alternativa quello di direttore generale degli affari penali, io chiesi 48 ore di tempo. Avevo deciso di accettare, ma il ministro improvvisamente ci ripensò». Perché? «Alcune note informazioni che il Gom della polizia penitenziaria aveva trasmesso alla procura nazionale antimafia ma anche alla direzione del Dap, quindi penso fossero conosciute dal ministro, avevano descritto la reazione di importantissimi capimafia, legati anche a Giuseppe Graviano e ad altri stragisti all’indiscrezione che io potessi essere nominato a capo del Dap». I capimafia, ha continuato Di Matteo parlando con il conduttore Massimo Giletti «dicevano ‘se nominano Di Matteo è la fine».

Fatto sta che da a 24 ore dalla rivelazione - incredibile, pesantissima e con un ritardo inspiegabile - i vertici del Movimento, da Crimi a Di Maio hanno fatto quadrato con Bonafede senza mai nominare Di Matteo, icona del grillismo, al punto che è stato negli ultimi anni nominato cittadino onorario in 40 comuni, in tutti quelli dove ci sono consiglieri M5S, a partire dal Campidoglio di Virginia Raggi.

Dietro a questo scontro e alla decisione dei vertici di schierarsi con il capodelegazione, mollando così il pm c'è l'ennesima mutazione che sulla carta disorienta la base grillina (calcolata sui 100mila iscritti alla piattaforma Rousseau). Bugani chiama questo atteggiamento di autoconservazione dei big «tifoseria imbarazzante». Grillo tace.

E anche Di Battista, per il momento, non si esprime.  

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