M5S, pressioni su Di Maio: «A marzo dovrà lasciare», alta tensione col premier

Sabato 11 Gennaio 2020 di Simone Canettieri
M5S, pressioni su Di Maio: «A marzo dovrà lasciare», alta tensione col premier

La «fase due» non è chiara a nessuno, ma la prima mossa sì: agli Stati generali di marzo del M5S finirà la gestione «monocratica e inizierà quella collegiale». I primi a spingere su questa ipotesi sono gran parte dei ministri pentastellati e dei big. Come Paola Taverna che l’altro giorno durante la riunione dei senatori ribelli si è detta d’accordo «al 99%» con il testo che prevede la divisione dei ruoli di governo da quelli del partito. 

Di Maio sotto pressione: M5S perde pezzi, dal 13 al 15 marzo gli Stati generali


Scenari che si affastellano nel giorno in cui Di Maio si trova a dover smentire la notizia del Fatto che lo dà per dimissionario addirittura prima delle regionali in Emilia Romagna. Una ricostruzione, negata con forza e definita «surreale», che agita gli stati maggiori del Movimento. «Allenatore che non vince si cambia», è la battuta che più di un ministro grillino usa per commentare la «fase due» ormai alle porte. 

Ma non sarà un passaggio facile. Anche perché il diretto interessato non ha intenzione di lasciare così. E di uscire da sconfitto e umiliato. Il ministro degli Esteri cerca sponde interne per uscire dalla morsa. E così escono per difenderlo i fedelissimi di governo come Laura Castelli e Manlio Di Stefano, poi nel pomeriggio, stancamente, un po’ tutti i ministri. Ma è una prassi logora. Un automatismo che si ripete, senza grande convinzione. 
Il titolare della Farnesina è convinto che dietro le voci giornalistiche che lo danno dimissionario da leader politico ci siano il premier Giuseppe Conte e la sua comunicazione. Di Maio crede che la mossa di Palazzo Chigi nasca per togliere un alibi a chi in queste ore potrebbe lasciare il Movimento per andare a formare un nuovo gruppo parlamentare, quello di Fioramonti, ennesimo elemento destinato a destabilizzare la maggioranza se dovesse prendere quota. Siamo appunto alle congetture. E così anche il videomessaggio di Davide Casaleggio inviato al villaggio di Rousseau a Bari viene eletto con sospetto: «Il futuro della politica è partecipazione». 

LE MOSSE
Il fermento è totale: le nuove uscite all’orizzonte verso Lorenzo Fioramonti e il suo gruppo Eco, la grana delle restituzioni che porterà a nuove espulsioni e poi le sconfitte annunciate - con risultati sotto al 10% - alle regionali in Emilia Romagna e Calabria. Con la variabile impazzita che una sconfitta di Stefano Bonaccini potrebbe avere sull’esecutivo. Una serie di mine pronte a esplodere e con cui Di Maio dovrà fare i conti. Una slavina che piomberà sugli stati maggiori del Movimento. Dove il Capo politico potrebbe presentarsi dimissionario o disponibile a un passo di lato per una gestione collegiale del partito. In questo quadro il senatore Mattia Crucioli annuncia che il documento presentato l’altro giorno con Emanuele Dessì e Primo Di Nicola per invocare discontinuità, discusso ma non votato in assemblea, sarà aperto a contributi (e sottoscrizioni di parlamentari e attivisti) in vista dell’evento di marzo. «Serve una guida collegiale per rilanciare il Movimento», dice il deputato Luigi Gallo, considerato molto vicino al presidente della Camera Roberto Fico, silente ma da sempre critico sulla narrazione dell’uomo solo al comando. La nuova leadership corale del Movimento si porta dietro un effetto collaterale non banale: se Di Maio non sarà più capo politico non potrà nemmeno essere il capo delegazione a Palazzo Chigi del M5S. Ruolo che per molti calza a pennello per Stefano Patuanelli, titolare del Mise, volto moderato e molto stimato tra i parlamentari. L’ultima dimostrazione sul caso Ilva: un successo che Luigi ha accolto con molta freddezza.
 

Ultimo aggiornamento: 16:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA