M5s tra normalizzazione e carta Raggi, così il movimento è diventato un partito di Palazzo

Lunedì 22 Febbraio 2021 di Mario Ajello
M5s tra normalizzazione e carta Raggi, così il movimento è diventato un partito di Palazzo

Beppe Grillo si allea con chiunque tranne che con Casaleggio e Dibba. Un pezzo di m5s romano si sta alleando con il Pd, per sostenere Gualtieri come candidato sindaco, ammesso che l’ex ministro sciolga la riserva, contro Virginia Raggi.

Di Maio e Patuanelli sono i più leali alleati di Draghi e non avanzano mai un rilievo critico o un dubbio o un dissenso verso il premier al contrario del loro alleato Salvini che non fa che incalzare SuperMario. E sono alleati ancora i grillini - si vedano le ultime uscite di Di Maio: «Con Conte è solo un arrivederci» - anche con l’ex premier e con gli alleati di prima cioè con il Pd con cui c’è l’asse rossogiallo per le prossime elezioni nel 2023, o anche prima, e su questo si sta lavorando assai tra Grillo e Zingaretti.

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Il movimento del vaffa, del no alleanze e della solitudine combat da noi contro tutti ha proprio cambiato la sua filosofia e le uniche alleanze che adesso rifiuta sono con quel che resta della propria matrice originaria, ossia la cultura alternativa alla Dibba, la democrazia diretta modello Rousseau, l’uno vale uno sostituito da un verticismo assoluto. Non a caso Beppe ormai e l’Elevato e se prima questo era un nomignolo autoironico adesso rispecchia la realtà dei fatti. Che è anche questa. A parte qualche residua briciola di partecipazione in chiave combat e anti governo sui territori, il movimento anti Palazzo è diventato per eccellenza un partito di Palazzo. Tutte le dinamiche si svolgono lì dentro, ogni strategia riguarda quell’ambito, non c’è più mossa politica che non sia riferita a come pesare di più o cercare di non pesare di meno (esempio: salvare più posti possibili da sottosegretario nonostante le espulsioni di senatori e deputati abbiano decimato il gruppo stellato) negli equilibri parlamentari. Anche la scissione M5S contro M5S - una trentina di loro dovrebbero formare una nuova sigla e mettersi all’opposizione del governo - avviene nel chiuso del Palazzo anche se avrà una sua coda sui territori. Ma si prevede limitata, tanto è vero che Dibba dice che non sarà della partita e si chiama - almeno per ora - fuori da tutto.

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Come unico presidio e simbolo identitaria M5S esterno ai giochi politici in corso, alle alleanze con tutti, alle manovre di sopravvivenza da Draghi 1 dopo che ci dove salvati con il Conte 1, con il Conte 2 e averci provato con il Conte Ter, rimane Virginia. La Raggi condensa tutto quel che M5S non è più, ovvero la purezza della vecchia rivoluzione contro tutto e contro tutti e l’idea che si possa guidare la politica - che poi la sindaca lo abbia fatto bene o male a Roma lo giudicheranno gli elettori - non in maniera subalterna e a rimorchio degli altri ma imponendosi e facendo valere le proprie strategie. Il dilemma di M5S è proprio questo: rinunciare a Virginia in nome della normalizzazione e del patto con il Pd per il Campidoglio?

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L’ultimo tweet di Grillo rilanciato da Di Maio sembra nettissimo - “Virginia, ridaje!” - ma sul punto che sta a cuore alla Raggi, avere un voto su Rousseau che inchiodi i grllini a sostenere la sua candidatura senza ammiccare al Pd - Beppe e i vertici stellati fanno i vaghi. E così diventa emblematico il caso Raggi. Se le viene negata la possibilità del plebiscito su Rousseau, che è quello per cui spingono anche Dibba e Casaleggio, significa che la normalizzazione M5S vuole diventare totale. Fino al punto di rinunciare anche alla bandiera Virginia - per quanto sia abbastanza ammaccata ma convinta di potersi rialzare - perché considerata inservibile anche lei a un partito che si è asserragliato tra Palazzo Chigi, Montecitorio e il Senato e ha paura di mettere il naso fuori da lì. Ma è difficile che, quando ormai si è strappato su tutto, si finirà per strappare anche su Virginia che rappresenta un passato ingombrante ma l’estremo politicismo di Grillo alla fine convincerà probabilmente il fondatore a tenersi Virginia perché, comunque poi andrà il voto Roma, è meglio lei che niente.

 

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Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 01:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA