Inchiesta sul Covid, una mail inguaia Fontana: «La zona rossa non serve, ad Alzano e Nembro nessuna emergenza»

Il governatore scrisse al governo: qui non c’è emergenza, no a nuove chiusure

Sabato 4 Marzo 2023 di Mauro Evangelisti
L'inchiesta sul Covid, una mail inguaia Fontana: «La zona rossa non serve»

Codogno è nel Lodigiano, il primo paziente Covid venne individuato la sera del 20 febbraio del 2020. Fu evacuato il pronto soccorso e isolato l’ospedale. Il 23 febbraio scatta la zona rossa in città e in altri dieci comuni. Alzano Lombardo è a ottanta chilometri, in provincia di Bergamo.

In ospedale da qualche giorno ci sono strane polmoniti e una dottoressa, dopo avere saputo ciò che è successo a Codogno, insiste con i colleghi perché vengano eseguiti i primi due tamponi. «Ma nessuno è stato in Cina» le rispondono. Lei insiste e il giorno dopo arrivano i risultati: due positivi. Il Covid è entrato in ospedale, ma il pronto soccorso viene quasi subito riaperto, anche sulla sanificazione, secondo l’inchiesta della procura di Bergamo, ci sono gravi lacune. Siamo in Valseriana, cuore produttivo, le imprese insistono perché non si prendano provvedimenti simili a quelli di Codogno. Eppure la situazione è fotocopia, anzi i casi aumentano di giorno in giorno, è evidente che c’è circolazione locale. Ma sono ancora i giorni del “Milano non si ferma”, “Bergamo non si ferma”: la Lombardia non vuole fermarsi. Ecco che il 27 e il 28 febbraio, nonostante l’R con zero (una sorta di contachilometri della pandemia) sia al valore altissimo di 2, il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, scrive due mail al premier Giuseppe Conte. Chiede di non modificare le misure di contenimento, dunque di non decretare la zona rossa nella Val Seriana, ad Alzano Lomardo e Nembro, perché non ci sono criticità «relative alla diffusione del contagio». Va tutto bene. Harakiri. No, le aziende non vogliono fermarsi. Eppure gli ospedali sono già in affanno, per i malati di Covid e per il personale contagiato, l’ambulanza dedicata al Covid è impegnata 24 ore su 24, i decessi aumenteranno di otto volte rispetto al normale. Conte non interviene, ma la legge consentiva a Fontana di decretare - come avrebbero fatto quasi tutte le regioni nei mesi seguenti - la zona rossa. Era stato fatto a Codogno, che senso aveva non farlo in provincia di Bergamo? Negli ospedali intanto non si fanno le Tac sui pazienti, non ci sono mascherine, non è stato ordinato un inventario dei ventilatori. Di fatto, nonostante le prime raccomandazioni dell’Oms che risalgano al 5 gennaio e già il 4 febbraio l’allerta fosse più stringente con l’indicazione di applicare i piani di contenimento, neppure si creano delle aree protette riservate ai pazienti sospetti Covid. Il 3 marzo il Comitato tecnico scientifico rompe gli indugi e fa sapere che è necessaria una zona rossa in Val Seriana.

Indagati Covid, i pm di Bergamo: «Speranza firmò il decreto sulla zona rossa, il premier Conte no»

RITARDI

Neppure di fronte alla posizione perentoria degli scienziati la Lombardia interviene. Business as usual, è il motto. Addirittura il ministro della Salute, Roberto Speranza, firma l’ordinanza sulla zona rossa, ma manca la sottoscrizione di Conte. Un tempo la Lombardia voleva l’indipendenza, la Regione nell’emergenza scarica tutte le responsabilità su Roma e anzi preme perché non ci sia zona rossa. La storia degli errori nella Valseriana - pur con tutte le attenuanti che vanno date a chi si trova a gestire un evento epocale senza precedenti - è solo il prologo di ciò che non funzionerà in Lombardia, la Regione modello per la sanità privata di eccellenza, ma drammaticamente disarmata nell’offerta di sanità di territorio, nella gestione dell’emergenza. Ieri la procura di Bergamo ha aperto un fascicolo per fuga di notizie sull’indagine, ma il problema resta. Faranno molto discutere le scelte nelle Rsa, a partire dal Pio Albergo Trivulzio, dove sono stati registrati 300 decessi. La procura di Milano, su richiesta dei familiari, sta indagando; il pm aveva chiesto l’archiviazione, ma il Gip ha respinto questa proposta e in questi giorni sarà assegnato l’incarico per una nuova perizia. Ma c’è un evento simbolo che più di tutti racconta come la Lombardia - forse un intero Paese - non abbia capito la portata dell’uragano che stava arrivando con il Covid. Il 19 febbraio allo stadio Meazza di Milano si gioca la partita di Champions League Atalanta-Valencia: l’impianto di Bergamo ha problemi di omologazione, per cui da tutta la provincia si spostano oltre 30mila tifosi, spesso accalcati nei pullman e nei treni, per andare ad assistere alla gara. Passerà alla storia come il grande focolaio, secondo una ricerca di Intwig un quinto degli spettatori ebbe i sintomi del Covid a due settimane dalla partita. Dopo quattro giorni ci sarebbe stata la prima zona rossa a Codogno. Eppure, nonostante i rumorosi campanelli d’allarme, per settimane si proseguì con gli aperitivi ai Navigli e si aspettò il provvedimento del Governo sulle chiusure, il 9 marzo, senza organizzare gli ospedali per l’emergenza in arrivo.

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