Governo, Draghi: basta strappi E ricuce con i ministri

La linea non cambia: i provvedimenti votati dal Cdm vanno difesi in Parlamento

Sabato 19 Febbraio 2022 di Alberto Gentili
Governo, Draghi non media più: «Un altro strappo e vado via»

Non devono trarre in inganno i toni morbidi scelti da Mario Draghi. Quando dice, dopo averli strigliati appena ventiquattr’ore prima, «avete visto che bravi ministri che ho?! È un governo bellissimo», il premier punta a ricompattare e a motivare la sua squadra uscita malconcia dalla sfuriata di giovedì. Ma l’avvertimento lanciato ai partiti, dopo aver visto il governo bocciato per ben quattro volte in Commissione, resta agli atti. È scolpito sulla pietra: «Se il governo voluto da Mattarella non riesce a fare le cose, io non ci sto.

Non sono qui a scaldare la sedia o per tirare a campare». Tant’è, che un’autorevole fonte di governo certifica: «Quello del Presidente non è stato un “al lupo al lupo”. Se ancora una volta verrà bocciato in Parlamento un provvedimento votato all’unanimità dal Consiglio dei ministri, Draghi prenderà, salirà al Quirinale, saluterà e se ne andrà. Ha 74 anni, tanta storia alle spalle, non è tipo da farsi prendere in giro».


Ecco perché il premier, in conferenza stampa, parla di «barra dritta», della necessità di «conseguire i risultati» e sottolinea quanto importante sia «rispettarsi». Per poi lanciare un avvertimento: «La delega fiscale è stata approvata all’unanimità, difficile possa essere cambiata». Draghi, insomma, non ha alcuna intenzione di vedere i provvedimenti essenziali per incassare i miliardi del Pnrr, come la legge sulla concorrenza e appunto la riforma del fisco, bocciati o bloccati in Parlamento. In più, la sua apertura a un «cambio di metodo» nel confronto è più tattica che di sostanza. «Perché», dice una fonte vicina al premier, «sulla delega fiscale, solo per fare un esempio, abbiamo fatto almeno quattro riunioni al Mef e due o tre a palazzo Chigi. È stato cercato tutto il consenso possibile. Ma quella delega è ancora ferma in Commissione. Dunque non è una questione di metodo parlamentare, è una questione politica». Per dirla con Draghi: «Il governo e io abbiamo sempre offerto la massima disponibilità». Invece le forze politiche, Lega e 5Stelle in primis, fin qui spesso si sono messe di traverso.

 

NIENTE SUMMIT

Ciò non dovrà più accadere, pena la crisi. Concetti e avvertimenti che Draghi ripeterà al segretari di partito che lo vorranno incontrare («già li vedo regolarmente, non è che debba dare uno sforzo aggiuntivo»). Ma senza alcun vertice plenario di tutti i leader del “governo di tutti”. «Ma quale vertice...», sbotta un’altra fonte vicina al premier. Di fatto Draghi mette i soci di maggioranza, in particolare Matteo Salvini, davanti a un bivio: garantite sostegno il Parlamento alle misure e alle riforme varate dal Consiglio dei ministri, oppure crisi ed elezioni anticipate. Un ultimatum che non è frutto di uno scatto d’ira, ma è seguito a un colloquio con Sergio Mattarella. Dunque ha l’avallo del Capo dello Stato. Il premier in sostanza ha scritto due copioni. Ora sta ai partiti decidere quale interpretare. È difficile che Salvini & C. rinuncino alle proprie bandierine identitarie a un anno dalle elezioni. Ma è altrettanto improbabile che vogliano intestarsi la crisi con l’addio di Draghi. Il Pd con Enrico Letta ha deciso di svolgere il ruolo di “guardia repubblicana” della stabilità. I 5Stelle sono sempre più allo sbando e Giuseppe Conte ha bisogno di tempo per provare a riorganizzare il Movimento. Forza Italia guarda alle urne come a Natale il cappone al pentolone. L’unico tentato di andare a elezioni anticipate era Salvini, ma il capo della Lega si è fatto molto più prudente: i sondaggi non lo premiano e danno il sorpasso di Giorgia Meloni ormai consolidato. Meglio perciò per il leader leghista, anche sulla spinta del bacino elettorale del Nord-Est, lavorare alla realizzazione del Pnrr da oltre 200 miliardi. Conclusione: tutti i partiti, in base al buon senso, dovrebbero rientrare nei ranghi e rispondere obbedienti all’aut aut di Draghi. 

IL PERICOLOSO CRINALE

Le pulsioni elettorali sono però più forti della ragione. Ed è nel Dna di Salvini giocare a tirare la corda. Perciò l’epilogo probabile è che i provvedimenti varati dal governo verranno votati dal Parlamento per evitare la crisi e le elezioni. Con Draghi che dovrà però continuare a sopportare le sparate propagandistiche, soprattutto della Lega e dei 5Stelle. Una partita giocata su un crinale pericoloso. Dunque, se dovesse accadere un altro incidente, se dovesse verificarsi un casus belli, il premier prenderà e salirà sul Colle per dimettersi. Senza ulteriori avvertimenti. Questo, almeno, dice chi lo conosce molto bene.

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