Giustizia, ecco gli sprechi che fanno lievitare i costi: indagini sbagliate, burocrazia e negligenze

Ecco dove si possono recuperare risorse per rilanciare gli uffici giudiziari

Domenica 30 Ottobre 2022
Giustizia, gli sprechi che fanno lievitare i costi: indagini sbagliate, burocrazia, negligenze

Ridurre drasticamente i costi, ottimizzare i tempi e restituire in questo modo ai cittadini - e anche a chi ci guarda dall’estero - fiducia. La sfida del nuovo governo riguarda anche e soprattutto il settore della Giustizia, da sempre uno dei più delicati, tra riforme tentate e riuscite, sprechi macroscopici e organico di magistratura e uffici gravemente sottostimato.

Il risultato sono faldoni accatastati negli uffici dei magistrati, costretti spesso a condurre superficialmente le indagini considerate meno delicate, ma anche processi infiniti che, oltre a non rispettare i diritti delle parti in causa, mettono lo Stato a rischio di dovere pagare risarcimenti per la durata irragionevole dei dibattimenti. Poi ci sono i costi delle perizie, oppure le spese di cancelleria, riducibili grazie al processo di digitalizzazione di procure e tribunali, che riguarda deposito, notificazione e comunicazione degli atti, con un significativo abbattimento di costi e tempi. Le intercettazioni, che costano circa 200 milioni di euro all’anno, spesso non producono i risultati sperati, oppure vengono utilizzate in modo eccessivo. E gli errori commessi durante la fase delle indagini preliminari possono costare caro: solo nel 2021 lo Stato è stato condannato a pagare 24.506.190 euro di risarcimento a 565 persone finite in carcere ingiustamente, per sbaglio, e che hanno avuto la vita stravolta.

L’Italia deve anche fare i conti con le condanne che arrivano dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, o le procedure di infrazione aperte dalla Commissione europea. E al saldo negativo si aggiunge anche il sistema della riscossione delle pene pecuniarie, che non funziona e che per anni è costato al nostro Paese miliardi. Basta guardare i dati del ministero della Giustizia: nel 2018, le condanne a pene pecuniarie sono state 66.949, per un totale di 973 milioni di euro. Lo Stato è riuscito a incassare solo 14,5 milioni. Dal 2012 al 2019, su 6,9 miliardi, i soldi recuperati sono stati solo il 3%: circa 196 milioni di euro.

Intercettazioni

Detenuto sei mesi a causa di frasi interpretate male

Le intercettazioni costano annualmente allo Stato circa 200 milioni di euro. In media, ogni anno vengono controllate 110mila utenze per 57 giorni. Piazzare un trojan in computer o cellulari costa 120 euro ogni 24 ore. Una spesa enorme, a cui non sempre corrisponde un aiuto nei processi. Lo sa bene Carlo Salti, commerciante di automobili di Piombino finito in carcere per sei mesi e poi sul banco degli imputati per dieci anni a causa di una conversazione captata e interpretata nel modo sbagliato. Era stato accusato di associazione a delinquere e usura e tutto era iniziato proprio con un’intercettazione. Era il 2005, la procura di Livorno aveva ascoltato un dialogo con il capo di una banda di estorsori - poi condannato per un solo episodio - su cui stava indagando: interpretando male la conversazione gli inquirenti si erano convinti che Salti stesse parlando con l’indagato di interessi usurari chiesti a un cliente dell’autosalone. A scagionarlo, durante le indagini, non era servita nemmeno la dichiarazione della presunta vittima, che negava di avere subito richieste o minacce. Salti era rimasto in cella per sei mesi. L’assoluzione era arrivata dal primo grado, nel 2015.

Processi futili

A giudizio 9 anni per il tentato furto di una melanzana

Il costo medio per arrivare alla definizione di un processo penale varia dai 300 ai 2.000 euro, a seconda del tipo di giudizio, del Tribunale e, ovviamente, della durata del dibattimento, secondo una stima fatta da Questione Giustizia. In alcuni casi, però, le aule sono affollate da procedimenti quantomeno singolari, che si risolvono con assoluzioni per tenuità del fatto. Nel 2018, per esempio, un uomo è stato assolto dall’accusa di tentato furto di una melanzana, rubata in un campo, dopo un processo che, considerando tutti i gradi di giudizio, è durato nove anni. Valore del bottino? Circa venti centesimi. È successo nel 2019 a Carmiano, in provincia di Lecce: l’uomo era stato sorpreso mentre cercava di rubare un carico di ortaggi, secondo l’accusa. Quando è stato scoperto, ne aveva afferrato solamente uno. In primo e secondo grado era stato condannato: aveva già rubato in passato. Per la Cassazione, però, aveva agito per stato di necessità, per cercare di sfamare la famiglia. Bacchettando i giudici di primo e secondo grado, gli ermellini avevano sottolineato la «particolare tenuità del fatto»: l’imputato aveva cercato di rubare un solo ortaggio.

Ingiusta detenzione

132 in cella, non era l'assassino: pagati 40mila euro

Nel 2021 i casi di ingiusta detenzione sono stati 565, per una spesa complessiva per lo Stato pari a 24.506.190 euro. Il dato è riportato dal portale Errorigiudiziari.com, quotidianamente aggiornato nei numeri e nelle storie raccontate, curato dai giornalisti Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone. Una delle tantissime storie di ingiusta detenzione è quella di Massimiliano Prosperi, romano: ha passato 132 giorni di carcere per un omicidio che non aveva commesso e in suo favore è stato disposto un risarcimento da 39.598 euro. Il 5 marzo del 2015 Prosperi viene arrestato mentre è in casa con la moglie e i due figli. È accusato di essere uno dei mandanti dell’omicidio di Sesto Corvini, ucciso a colpi di pistola il 9 ottobre 2013, nel quartiere residenziale di Casal Palocco, a Roma. Il 27 aprile del 2016, Prosperi viene condannato in primo grado: 30 anni di carcere. Ma nei gradi di giudizio successivi viene assolto. La sentenza definitiva è del 19 giugno del 2018. Prima dell’arresto l’uomo era un imprenditore affermato, ma l’inchiesta gli rovina la vita: deve reinventarsi e inizia a lavorare come muratore.

Condanne dall'Europa

Il marito è violento, ignorate 7 denunce. «Lo Stato risarcisca»

Nel 2021 ci sono state 38 sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, con condanne a carico dell’Italia. Nel 2022, per ora, quelle pubblicate sono 16. Una delle ultime è quella sul caso di Silvia De Giorgi, padovana e madre di tre figli, che si era rivolta alla Corte accusando le autorità italiane di non aver fatto il necessario per proteggerla dal marito violento, nonostante le ripetute denunce: ne aveva presentate sette, dal 2015 al 2019. La De Giorgi e il marito si sono separati nel 2013. Nel 2015, la prima denuncia: la donna racconta di essere stata molestata e minacciata. Spiega che l’uomo la pedina, la minaccia con armi, le controlla il telefono, è violento con i figli e «afferma di voler uccidere tutta la famiglia», si legge nella sentenza. Pochi giorni dopo la De Giorgi viene aggredita. Si susseguono molte altre denunce e la donna chiede anche di venire sottoposta a una misura di protezione, oppure che per l’ex venga disposto il divieto di avvicinamento. La richiesta della vittima viene respinta e per diverse denunce viene chiesta l’archiviazione. Nella sentenza si legge che Silvia è stata sottoposta a un «trattamento inumano e degradante». È stata risarcita con 10mila euro, oltre alle spese processuali.

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