Giustizia, riforma sofferta. Draghi: «Ora serve lealtà». In cdm l’intesa sulla prescrizione

Venerdì 9 Luglio 2021 di Alberto Gentili
Giustizia, riforma sofferta. Draghi: «Ora serve lealtà»

C’è voluta una mediazione in extremis condotta da Mario Draghi e da Marta Cartabia, dopo la minaccia dei 5Stelle di astenersi (c’è chi dice, addirittura di uscire dalla maggioranza), per permettere al Consiglio dei ministri di dare il via libera agli emendamenti del Guardasigilli alla riforma del processo penale.

L’intesa, arrivata al termine di un vero e proprio Vietnam che ha scosso il governo, prevede che la prescrizione per i reati contro la Pubblica amministrazione, come corruzione e concussione, scatti dopo 3 anni in appello (erano 2 nella prima versione) e dopo 18 mesi in Cassazione (erano 12). «Ma ora serve lealtà. Nessuno pensi di avere le mani libere in Parlamento», avverte il premier.

Nel suo giorno più difficile da quando è a palazzo Chigi, Draghi non si fa fermare dalle minacce e dalla rivolta dei 5Stelle. «Il presidente è andato avanti non per indifferenza verso il M5S», dice una fonte vicina al premier, «ma perché la riforma della Giustizia è indispensabile per l’attuazione del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza: ce la chiede la Commissione europea. Senza, non arriverebbero i soldi del Recovery Fund. Ma ora sulla giustizia l’Italia volta pagina. Draghi ha fatto un miracolo politico».

 

Giustizia, sì del Cdm

Ma andiamo con ordine. Il giorno più lungo del presidente del Consiglio comincia alle 8.30 del mattino. Il premier nel suo studio di palazzo Chigi riceve Cartabia, il capodelegazione 5Stelle Stefano Patuanelli e la sottosegretaria alla Giustizia grillina Anna Macina. Patuanelli invoca un rinvio: «Questa riforma non la sosteniamo, dateci qualche giorno». Secca la risposta del premier: «Mi dispiace, ma non si può tardare. Oggi pomeriggio si decide». Macina lancia allora una proposta di mediazione: «Estendiamo i termini della prescrizione per i reati contro la Pubblica amministrazione». La cosa finisce lì. Appesa. E Draghi in persona, poco dopo, detta l’ordine del giorno del Cdm. Al primo punto: la riforma della Giustizia. Un segnale inequivocabile ai 5Stelle. Della serie: “Comprendo, ma non mi fermo”. 

Anche perché, questa è la strategia del premier, il via libera del governo agli emendamenti della Cartabia al processo penale serve a blindare le modifiche durante l’iter di approvazione parlamentare. Rappresenta una sorta di fiducia preventiva alla riforma della riforma del grillino Alfonso Bonadede. Prescrizione inclusa, che ricomincerà a correre dopo la sentenza di primo grado pur se con un timing ben limitato.

Per arrivare a questo approdo, Cartabia e i rappresentanti della maggioranza riuniti su Zoom per una cabina di regia improvvisata lavorano l’intera giornata. Con i ministri 5Stelle, sostenuti a distanza da Giuseppe Conte, che fanno la faccia feroce. Chiedono di non toccare lo stop alla prescrizione, il totem giustizialista pentastellato. E di inserire la corruzione e la concussione tra i reati imprescrivibili come l’omicidio volontario e la strage. Lo scontro e la trattativa vanno avanti perfino dopo le cinque di pomeriggio, orario della convocazione del Cdm, quando i pentastellati Luigi Di Maio, Patuanelli, Fabiana Dadone, Federico D’Incà fanno filtrare l’intensione di astenersi sul provvedimento.

Giustizia, oggi in Consiglio dei Ministri arriva la riforma Cartabia

Di fronte a questa minaccia scatta la mediazione in extremis. Draghi e Cartabia, assieme al segretario generale Roberto Garofoli e al capo di gabinetto del premier Antonio Funiciello, convocano i ministri M5S. E qui Di Maio va giù piatto: «Il testo che ci è stato proposto non possiamo votarlo. Se resta così ci asteniamo». Segue ulteriore minaccia: «Abbiamo la forza per fermare e far saltare gli emendamenti del Guardasigilli».
A questo punto, visto che Draghi non ha intenzione di far passare azzoppata la riforma richiesta dalla Ue, rispunta la proposta lanciata da Macina al mattino. E i grillini strappano un anno in più prima che scatti la prescrizione in appello per corruzione e concussione. E 6 mesi in più in Cassazione. Ma non ci sarebbe alcun automatismo: i termini di 3 anni e di 18 mesi potrebbero essere ridotti e sarebbero subordinati alla complessità del procedimento.

L’ultimo colpo della giornata l’assesta Forza Italia, spalleggiata da Italia Viva e Lega, nel Cdm cominciato con due ore di ritardo. Renato Brunetta parla di «forti perplessità», chiede una sospensione per «approfondire le modifiche apportate». Di Maio salta sulla sedia: «Non arretriamo di un centimetro». Patuanelli torna a parlare di «modifiche tecniche limitate in Parlamento». Brunetta per rappresaglia si accoda: «Allora ci riserviamo pure noi questa possibilità».

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La sfuriata del premier

Troppo, davvero troppo per Draghi. Il premier sbotta: «Mi appello al vostro senso di responsabilità, è una riforma legata al Pnrr, fondamentale per il Paese. Questa è una maggioranza eterogenea e servono compromessi. Chiedo adesso compattezza nei passaggi parlamentari. Nessuno pensi di poter avere le mani libere». Poi, facendo riprendere la riunione, il premier ringrazia Cartabia «per questo bel testo» e chiede «lealtà» e domanda ai ministri: «C’è il vostro sostegno unanime e convinto alla riforma del processo penale?». Tutti zitti. Nessuna obiezione. 

Sono approvati così, senza un voto formale e con la formula del silenzio-assenso, gli emendamenti del Guardasigilli. Ora c’è da capire cosa accadrà dopo il 23 luglio, quando la legge delega comincerà il suo iter parlamentare. Lo psicodramma M5S non fa ben sperare, anche perché leghisti, forzisti, renziani, già si impegnano ad alimentarlo parlando di ritorno della prescrizione. Al grido: «Bye bye riforma Bonafede».

 

Ultimo aggiornamento: 10 Luglio, 09:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA