Giustizia, dalle intercettazioni alla paura di firmare: i nodi da sciogliere

Presunzione d’innocenza e certezza della pena le linee guida. L’obiettivo è correggere le storture del sistema

Lunedì 24 Aprile 2023 di Valeria Di Corrado
Giustizia, dalle intercettazioni alla paura di firmare: i nodi da sciogliere

L’obiettivo è quello di raddrizzare le storture del nostro sistema giudiziario, mantenendo come argini fissi la presunzione di innocenza e la certezza della pena. In quest’ottica il Guardasigilli Carlo Nordio vuole disciplinare l’uso delle intercettazioni, ponendo dei limiti alle trascrizioni e al badget; prorogare la durata della segretezza della indagini; modificare il reato di abuso d’ufficio, uno spauracchio che ora paralizza le pubbliche amministrazioni; abolire la possibilità di appello dei pm in caso di assoluzione in primo grado; far decidere al Tribunale del Riesame sulle misure cautelari; e ritornare alla prescrizione sostanziale.

Le intercettazioni: no alla trascrizione se si parla di terzi o questioni intime

L’intenzione del ministro è porre dei paletti sulla trascrizione delle intercettazioni: da non consentire quando due persone parlano di una terza o di questioni intime, e da limitare solo ai casi in cui «il reato è in atto». Questo significa che andranno trascritte le conversazioni nelle quali c’è la prova che il reato viene commesso al telefono o che viene programmato «in modo non equivoco». Previsto anche un budget per l’utilizzo di questo strumento d’indagine, da stabilire prima per ogni ufficio giudiziario, così come avviene per pc, stampanti e personale. «Verrà prefissato secondo la compatibilità finanziaria del Ministero che è quello che paga. Anche perché trovo irragionevole che spendiamo 200 milioni di euro all’anno per le intercettazioni quando poi ci mancano delle cose essenziali», ha spiegato Nordio. «Nessuno vuole toccare le intercettazioni per reati di mafia e terrorismo e anche per reati satelliti di questi fenomeni», ha detto in più di una occasione il Guardasigilli. «Le intercettazioni sulla sicurezza dello Stato e quelle preventive sono utilissime e non vengono di fatto diffuse. Il problema si pone però sul terzo tipo di intercettazioni, che sono quelle giudiziarie, effettuate su richiesta del pm con autorizzazione dei gip: finiscono nelle mani di decine di persone e inevitabilmente si crea l’abuso». 

La segretezza degli atti: indagini top secret fino alla conclusione per evitare la gogna

Al momento gli atti del processo devono rimanere segreti fino a quando l’indagato ne viene a conoscenza.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio vorrebbe integrare il codice di procedura penale per stabilire che restino top-secret «quantomeno fino alla disclosure finale o all’inizio del dibattimento pubblico». Questo per evitare che vi sia un inutile esposizione mediatica prima del processo, soprattutto per quei casi che poi conducono a un proscioglimento nella fase dell’udienza preliminare. In questo modo solo l’indagato saprebbe di essere indagato e le intercettazioni non potrebbero essere diffuse fino a che non vi è, almeno, una richiesta di rinvio a giudizio. «Oggi la segretezza degli atti è considerata a tutela dell’integrità dei dati. La mia idea è che la segretezza degli atti debba essere considerata anche nell’interesse dell’onorabilità dell’indagato - spiega il Guardasigilli - L’informazione di garanzia inviata a un personaggio importante occupa la prima pagina dei giornali. La sentenza di assoluzione, salvo casi rari, finisce nelle ultime con un trafiletto». Per risolvere questa “stortura”, secondo Nordio, oltre a intervenire sulla rapidità del processo (facendo in modo da arrivare il prima possibile a una sentenza), occorre allungare i tempi in cui l’atto rimane segreto: almeno fino al momento in cui non finisce l’indagine. 

Il reato da modificare: l'abuso d'ufficio paralizza sindaci e dipendenti pubblici

Per trovare una soluzione all’immobilismo nelle pubbliche amministrazioni, i cui dirigenti sono spesso paralizzati dalla paura di finire sui giornali per aver firmato un atto poi ritenuto illegittimo dalla Procura, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha pensato di modificare la disciplina sul reato di abuso d’ufficio. «Se noi l’abolissimo, il 99% dei sindaci e degli amministratori comunali ci farebbe un monumento», ha spiegato a “Il Foglio”, perché la situazione è «diventata intollerabile». «Non temono la condanna, che interviene nel 2% dei casi, ma il processo mediatico: l’avviso di garanzia e la diffusione della notizia per la quale il sindaco viene delegittimato. Addirittura qualche volta è stata impedita la candidatura di un determinato personaggio perché pendeva un processo». Secondo Nordio, a essere penalizzati sono gli stessi magistrati: molti di loro vengono denunciati e, quindi iscritti nel registro degli indagati, proprio per abuso d’ufficio o rifiuto di atti d’ufficio da parte di cittadini che, insoddisfatti della sentenza, sostengono che il magistrato non abbia guardato gli atti. «Questo vulnus può compromettere la sua carriera», ha precisato il Guardasigilli.

Intercettazioni segrete «finché durano le indagini». Giustizia, svolta di Nordio

Nessun appello per i pm: in caso di assoluzione il processo si chiude in primo grado

Quasi rivoluzionaria, almeno per il nostro sistema giudiziario, è la proposta del Guardasigilli di non prevedere più la possibilità del pm di appellare una sentenza in caso di assoluzione in primo grado. La ratio è quella di evitare l’inutile ingolfamento della macchina della giustizia. Piuttosto, nell’eventualità in cui emergano nuove prove o alcune non siano state considerate, il Ministro preferisce che il processo venga rifatto da capo. In Italia vige il principio che l’imputato è condannato se risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio, «per questo mi dovete spiegare come puoi condannare una persona quando un giudice precedente ha giudicato l’indagato non colpevole», ha fatto notare Carlo Nordio in un’intervista a “Il Foglio”. Naturalmente, ha precisato il Ministro, «possiamo anche ammettere che la sentenza di assoluzione possa essere sbagliata perché sono stati commessi degli errori, perché non sono state prese in considerazione delle prove o addirittura perché sono emerse nuove prove, ma in quel caso allora è meglio che il processo sia rifatto, come fanno gli anglosassoni nei pochi casi in cui lo ammettono». 

Carcerazione preventiva: sulle misure cautelari dovrà decidere un organo collegiale

Nell’ottica del garantismo, per il ministro Carlo Nordio è fondamentale limitare la carcerazione preventiva ai casi strettamente necessari. La definisce una «misura di civiltà». Per questo il Guardasigilli propone di lasciare al giudice delle indagini preliminari la possibilità di disporre le misure cautelari (carcere, domiciliari, obbligo di firma, ecc.) solo nei casi in cui vengano contestati reati per cui gli indagati sono stati colti in flagranza. In tutti gli altri casi, i pubblici ministeri dovranno presentare la richiesta a «un organo collegiale che potrebbe essere, e secondo me dovrebbe essere, quello che oggi è il tribunale del Riesame, cioè il tribunale distrettuale», ha spiegato Carlo Nordio. Tutto questo nell’ottica di «avere una garanzia maggiore di tutela degli indagati: sei occhi vedono meglio di due - ha precisato il Ministro della Giustizia - Poi fare tutto il possibile per evitare che accada quello che succede oggi, considerando che circa la metà delle persone arrestate in via cautelare viene poi rimessa fuori dalle carceri dal tribunale della Libertà. È una misura di civiltà. Ed è una misura sulla quale agiremo con forza».

La durata dei processi: con il ripristino della prescrizione il reato viene estinto

Nel continuo tira e molla sulla prescrizione, l’orientamento del Governo attuale è cancellare le modifiche introdotte da quello precedente, ossia un ritorno alla “prescrizione sostanziale”. «Personalmente, la farei decorrere non dal momento in cui il reato viene commesso, ma dal momento in cui viene scoperto», ha spiegato il ministro Carlo Nordio. La sua intenzione è di riportare la prescrizione alla sua funzione originaria di estinzione del reato, quindi nell’ambito del diritto sostanziale e non di quello processuale. La riforma del suo predecessore, ossia del ministro Marta Cartabia, ha infatti introdotto una nuova regola per l’improcedibilità, per evitare che l’imputato potesse rimanere intrappolato per troppo tempo nei gradi successivi di giudizio (visto che la prescrizione non può più avvenire una volta che è stata emessa la sentenza di primo grado, sia essa di assoluzione o condanna). Con la Cartabia, invece, un processo viene dichiarato improcedibile nel caso in cui non si concluda entro tempi prestabiliti: due anni al massimo per il giudizio in Appello e un anno per quello in Cassazione.

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